«N on ho niente da dire»: alle 16,30 di un pomeriggio plumbeo, Edmondo Bruti Liberati sbuca dal suo ufficio di procuratore, dove ha appena incontrato Francesco Greco, procuratore aggiunto, appena rientrato da Roma. Il procuratore Bruti non parla, ma parlano per lui le carte che lunedì ha inviato al Consiglio superiore della magistratura, atto (per ora) finale dello scontro che devasta quella che fu la procura di Mani Pulite. Sono carte di una asprezza senza precedenti, perché il procuratore accusa uno dei suoi «vice», il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, di avere ostacolato e messo a rischio l'indagine più delicata in corso a Milano, quella che ha scoperchiato il marcio di Expo. Ma senza precedenti è soprattutto il clima di veleni che ormai agita la Procura che per vent'anni ha incarnato - a torto o a ragione - il baluardo della legalità, e che ora sembra dedicarsi soprattutto a un regolamento di conti senza chance di mediazione.
Bruti ha inviato il suo appunto a Roma lunedì, dopo averci lavorato nel weekend. Era stato interrogato dal Csm il 15 aprile. Ma in quel momento la retata Expo era ancora di là da venire, così il procuratore non si era sbilanciato per evitare danni all'inchiesta. Ma ora, senza più segreti da tutelare, parte all'attacco di Robledo, il suo vice che lo ha accusa di gestire la procura da politico, da uomo di corrente, e non da magistrato imparziale; e che ora si trova a sua volta sotto accusa da parte del suo capo, mentre intorno ai due contendenti si vanno delineando con sempre maggiore chiarezza alleanze e schieramenti. E anche questo finisce col rafforzare l'immagine di una Procura ormai ingovernabile.
«Le iniziative del procuratore aggiunto Robledo hanno determinato un reiterato intralcio alle indagini» scrive Bruti nella nota inviata al Csm. Robledo accusa Bruti di avergli scippato l'indagine Expo per affidarla violando ogni regola a Ilda Boccassini. Bruti ribatte accusando Robledo di aver messo a rischio l'indagine su Expo inviando al Csm atti ancora segreti, e che rischiavano di mettere gli indagati sull'avviso della retata imminente. E lo incolpa anche della «surreale» iniziativa di disporre un secondo pedinamento di un indagato, ben sapendo che i finanzieri lo stavano già controllando.
Più vanno avanti le audizioni al Csm, insomma, più appare chiaro che la procura di Milano sta esplodendo. Ieri vengono ascoltati, dalla prima e settima commissione congiunte, Francesco Greco e Ferdinando Pomarici. Il primo fa parte, secondo Robledo, del «cerchio magico» di Bruti; il secondo è un moderato, sconfitto quattro anni fa da Bruti nella corsa al posto di procuratore. Greco difende il capo, Pomarici lo attacca; Greco nega che ci sia stato il ritardo di un anno nell'iscrizione di Roberto Formigoni nel registro degli indagati per l'indagine San Raffaele, come denunciava Robledo; Pomarici conferma che l'assegnazione dell'indagine Ruby a Ilda Boccassini fu una «anomalia», perché l'indagine era «palesemente estranea» alle competenze della Dda diretta dalla Boccassini e che la decisione di Bruti era «anomala e non conforme ai criteri vigenti», e rivela che le obiezioni vennero messe nero su bianco in una lettera al capo, e ribadite in una successiva riunione in procura. Pomarici aggiunge che per il caso Sallusti il procuratore voleva un «unicum», una «deroga», una sorta di «operazione chirurgica», per impedire ai pm di arrestare il direttore del Giornale.
Ma più dei singoli dettagli, delle storie di fascicoli finiti nelle mani giuste o sbagliate, il gigantesco garbuglio che il Csm si trova a dover sbrogliare è quello di una Procura dove l'aria rischia di farsi irrespirabile. Bruti Liberati ne è consapevole, e per contenere l'effetto destabilizzante della situazione raccomanda al Csm la «sollecita definizione» del caso, perché l'ufficio possa «svolgere il suo difficile compito in un clima di normalità».
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