Prof fa scrivere all'alunno: "Sono un deficiente!". Quindici giorni in carcere

La Cassazione conferma la condanna a un'insegnante palermitana colpevole di aver "umiliato violentemente" uno studente bullo

La Cassazione (confermando la condanna di una docente a 15 giorni di carcere) ribadisce un concetto che non avrebbe neppure bisogno di essere dibattuto: «Gli insegnanti non possono rispondere con metodi prepotenti agli atteggiamenti di bullismo degli allievi». Esattamente la «colpa» per cui è finita nei guai una prof di Palermo che - per punire uno studente di 11 anni che aveva offeso un compagno - gli aveva fatto scrivere per cento volte sul quaderno la frase «sono un deficiente». «Così facendo - ha argomentato la Suprema corte - la docente ha «finito per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere». Tutto giusto, per carità. Anche se - confessiamo - dinanzi a certi bulletti strafottenti (se non peggio) la tentazione di usare metodi correttivi non precisamente ortodossi è assai forte. Ma se i genitori farebbero bene a optare per un bel ceffone, i prof no: loro è giusto che tengano le mani a posto, sempre. Va detto che l'insegnante «incriminata» non si era permessa di passare alle vie di fatto, limitandosi a una punizione «alternativa» attraverso quella frase reiterata (e sacrosanta nella sostanza) fatta mettere nero su bianco sul quaderno del bulletto: «sono un deficiente»; proprio come si vede fare al pestifero Burt davanti alla lavagna all'inizio della sigla dei Simpson. La sentenza in questione non ha però nulla a che fare con i cartoon di Matt Groening: l'insegnante «Giuseppa V.» è un personaggio in carne ed ossa, titolare di cattedra in una scuola media statale di Palermo. Lei, hanno sancito i giudici di Piazza Cavour, «è senz'altro colpevole di aver abusato dei mezzi di correzione e di disciplina ai danni dello studente G.C., per averlo mortificato nella dignità venendo così meno al processo educativo in cui è coinvolto un bambino». «Non può ritenersi lecito l'uso della violenza, fisica o psichica, distortamente finalizzata a scopi ritenuti educativi - prosegue la Cassazione -. E ciò sia per il primato attribuito alla dignità della persona del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di personalità, utilizzando mezzi violenti che tali fini contraddicono». Insomma, la prof merita il carcere per aver punito in una maniera così «umiliante» l'allievo che, secondo lei, stava tenendo «un atteggiamento derisorio ed emarginante nei confronti di un compagno di classe». «Costituisce abuso punibile anche il comportamento doloso che - come in questo caso - umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute anche se è compiuto con una soggettiva intenzione educativa o di disciplina».

Gli ermellini però hanno concesso alla docente uno sconto di pena (rispetto alla condanna d'appello pari a 30 giorni di reclusione), eliminando l'aggravante di aver provocato nell'adolescente un «disturbo del comportamento»: ipotesi avanzata dallo psicologo, ma non provata con certezza. La prof. Giuseppa V. - come diceva il Ferrini di Quelli della notte - commenta: «Non capisco, ma mi adeguo...».

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