RomaPer Silvio Berlusconi è il giorno della convocazione plenaria delle truppe parlamentari del Pdl. Un appuntamento utile per confrontarsi e far capire che non c’è nessun divorzio alle viste tra lui e il partito che ha fondato. Nei giorni in cui si rincorrono le voci sullo «spacchettamento» del Pdl, l’ex premier vuole far passare un concetto: «Io resto a vostra disposizione, sono sempre pronto a fare la mia parte». Magari come «ministro dell’Economia di un governo Alfano». Una battuta che non ha certo il sapore di una proiezione sul suo futuro ma serve a fotografare una gerarchia che - almeno ufficialmente - resta immutata.
In realtà di passi indietro Berlusconi non ne consuma quasi nessuno. Sa che il partito da lui cerca conferme e conforto. E così, nell’auletta dei gruppi, dialoga, saluta, scherza, stempera timori e rilancia speranze, incrocia lo sguardo di Claudio Scajola e a voce alta gli dà appuntamento per una chiacchierata serale a Palazzo Grazioli, suscitando curiosità tra i presenti. Ci tiene, insomma, a far capire che non sarà lo sfasciacarrozze del Pdl. Ma a deputati, senatori ed europarlamentari non concede molto più di questo, tanto sulle primarie che sulle liste di supporto. Se da una parte puntualizza di non aver «mai dato l’avallo ad alcuna lista» ed esclude «arlecchinate» e qualunque gemmazione multipla dalla pianta del Pdl, dall’altra mette in chiaro che almeno quattro eccezioni potrebbero esserci: la lista Sgarbi nella quale crede molto per il suo potenziale «rivoluzionario». Quella dei Pensionati, memore forse del 2006 quando il mancato accordo con Carlo Fatuzzo fu decisivo per la vittoria di Prodi. Quella dei Responsabili. Ma soprattutto la «lista Montezemolo». Una citazione anomala che suscita stupore nella platea e che qualcuno ricollega all’impossibilità per il presidente della Ferrari di seguire Casini nel suo esperimento a sinistra.
È proprio sul leader Udc che Berlusconi si sofferma. Se Casini va a sinistra, suggerisce, allora «andiamoci a prendere i suoi voti in libertà». E poi c’è la benedizione un po’ distratta, accordata al piano per le primarie che gli sottopone Angelino Alfano. Primarie che Berlusconi non cita mai nel suo discorso nonostante questa strada sia stata decisa all’unanimità dal partito, dopo la riunione serale del tavolo delle regole, sia pure con qualche incognita ancora da chiarire. Su tutte la data. Ipotizzata inizialmente quella del 30 ottobre - e poi archiviata per la coincidenza con le elezioni siciliane - si punta ora sul 30 settembre o sulla prima domenica di ottobre. Per Alfano le primarie rappresentano una «gara di idee» in grado di rafforzare il bipolarismo, «lo stesso Berlusconi ci ha rafforzato in questo proposito».
Ora, però, bisogna passare dalla teoria alla pratica e verificare se le condizioni politiche consentiranno di procedere alla consultazione popolare dei moderati. Il modello scelto è quello «italiano». Quindi non un tour per le varie regioni come negli Stati Uniti ma un voto in soluzione unica. Massima apertura, probabilmente anche ai sedicenni. E una mappa di seimila sezioni dislocate su tutto il territorio nazionale con un esercito di circa 24mila volontari a presidio dei vari «seggi». Uno sforzo titanico per una operazione sulla quale Alfano fonda la propria scommessa politica e con la quale lo stato maggiore del Pdl punta a blindare il futuro del partito. Ma che l’evolversi del quadro politico potrebbe far passare in secondo piano. Berlusconi, infatti, fa capire che il sostegno ai tecnici è certamente condizionato agli esiti del Consiglio europeo di Bruxelles.
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