Quagliariello polemizza: «Fecero un accordo segreto col Pdl contro la riforma del Porcellum»il caso

Roma Aveva promesso - e continua a ripeterlo - che «nella discussione del congresso Pd non entro». E però ieri, quando Enrico Letta si è materializzato nel Tempio di Adriano, a due passi da Palazzo Chigi («sono uscito mezz'ora di prigione»), è stato chiaro a tutti che una silenziosa scelta di campo il premier ha voluto farla. Contro Matteo Renzi.
Si presentava il libro Giorni bugiardi, dedicato al disastro post elettorale del Pd e firmato da due stretti collaboratori di Pier Luigi Bersani, Chiara Geloni e Stefano Di Traglia. Un libro la cui tesi più nota e discussa è che siano stati i perfidi renziani, dopo averlo candidato, ad affondare la candidatura Prodi al Quirinale e, con essa, lo stesso Bersani. Tesi non suffragata da elementi di fatto, e che sa molto di ripicca postuma, e non sfiorata nella discussione di ieri. Ma il fatto stesso che il premier abbia voluto esserci, abbia lodato il libro e confessato di tenerlo «sul comodino», è stato letto come un indiretto segnale di guerra al sindaco di Firenze.
Senza contare altre bordate più dirette a chi, come Renzi, non perde occasione per spronare il governo e lamentarne gli scarsi risultati: «Ogni volta che qualcuno ce l'ha con me accusandomi di fare poco, vorrei invitarlo a leggere questo libro, e ricordare da che caos veniamo: ad aprile la democrazia ha sbandato», dice Letta. E invita il prossimo congresso Pd ad «entrare a piedi giunti nelle ferite di quei giorni, se invece le sorpassa dicendo “ormai è successo” farà un errore». Al mancato premier Letta rende omaggio: «Questo governo esiste perché c'è stato il tentativo di Bersani, perché Pier Luigi si è immolato per dimostrare al popolo Pd che altre ipotesi non erano percorribili», spiega.
Bersani, peraltro, qualche frecciata all'esecutivo del suo ex vice la tira, ridimensionandone il ruolo: «Un governo di servizio, di cui ringraziamo Enrico, che ci può dare il tempo per riorganizzare le forze e le idee. Ma a questo paese serve altro, serve un governo di combattimento». E anche con Napolitano l'ex leader Pd si toglie qualche sassolino: al ministro Pdl Gaetano Quagliariello, che gli chiede come gli sia venuto in mente di poter fare un governo con Grillo, e «per fortuna che qualcuno di maggior esperienza aveva capito che non era possibile», Bersani replica piccato: «Io non ci credo a quell'esperienza lì, io il mio popolo lo conosco e se il giorno dopo avessi detto che volevo fare il governo con la destra sarebbe venuto giù un franone». E poi spiega che le elezioni lui le ha perse quando il Pdl «staccò la spina a Monti», e il Pd (causa Napolitano) si ritrovò solo a tirare la carretta.

Da Quagliariello gli tocca difendersi anche sul Porcellum: «Mentre io e Violante ci dannavamo per tentare la riforma», dice perfido, «c'era un accordo tra Bersani e uomini del Pdl per non farla». La difesa è debole: «Non è vero, era la destra a non volere le nostre proposte».

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