Quando il sussidio diventa un crimine

Il sussidio riproposto dai 5s per il voto in Calabria. Misura fallimentare che può essere solo finanziata dai contribuenti

Quando il sussidio diventa un crimine
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A volte ritornano. Il reddito di cittadinanza sembrava consegnato agli archivi della stagione gialloverde.

Invece riemerge come reliquia ingombrante. E si propone come tema di confronto nella imminente campagna elettorale per le Regionali. I riflettori sono stati riaccesi dal candidato presidente per la Calabria Pasquale Tridico, che ne vorrebbe trasferire l’onere sulle casse di Bruxelles. L’argomento può essere affrontato in due modi. Può dar luogo a una disputa ideologica, contrapponendo i fautori del mercato a quelli dell’economia protetta. In tal caso, però, il discorso si chiude ancor prima d’essere iniziato. Si può, invece, privilegiare un’ottica più empirica e contingente, ritenendo che non tutte le misure di sostegno siano da scartare per principio. Perché, se esse determinano un positivo equilibrio tra assistenza e attivazione sociale, possono avere effetti positivi che neppure a un liberale è dato ignorare. La proposta, per questo, va valutata nel merito. Per comprendere se, nel momento storico dato, essa sia conveniente oppure no.

In tale prospettiva, la prima cosa che salta agli occhi è l’idea di imputarne i costi all’Europa. Non si può fare. Quanti per anni si sono esercitati a inveire contro l’Europa matrigna, dovrebbero almeno sapere che i fondi comunitari sono per misure temporanee condizionate all’inclusione e al lavoro. Non contemplano la possibilità di erogazioni universalistiche. Se si vuole replicare, i soldi vanno dunque presi dalla tasca del contribuente italiano. E ciò rende ancor più necessaria l’analisi di come sia andato l’esperimento già effettuato dal 2019 al 2023. Il Comitato scientifico incaricato di valutare la performance del reddito di cittadinanza, a tal proposito, non ha lasciato adito a discussioni. Lo Stato ha speso oltre 34 miliardi.

Con buona pace dei proclami epocali, però, la miseria non è stata abolita. Non si è riusciti a raggiungere, in verità, neppure la maggioranza delle famiglie in povertà assoluta.

Secondo Istat, quasi un beneficato su due non era povero. E, inoltre, è pure fallito il tentativo di trasformare i sussidi in un viatico al lavoro. In Calabria, ad esempio, solo una parte ridotta dei beneficiari è stata presa in carico dai centri per l’impiego. E tra questi una quota minima è stata immessa nel mercato del lavoro. Negli anni più bui della pandemia, poi, per il reddito sono stati spesi più di otto miliardi di euro. Ma le disuguaglianze si sono ridotte meno dell’uno per cento e il rischio di povertà di due punti. La parte «attiva» della legge, per di più, si dissolse del tutto, lasciando soltanto l’assegno: un tampone costosissimo, in breve divorato dall’inflazione.

Quel che poi lascia ancor più perplessi è la considerazione contingente del provvedimento. Il Mezzogiorno, infatti, dopo la pandemia è cambiato. Negli ultimi tre anni ha ripreso a correre più di altre aree del Paese, con Pil, occupazione ed export in crescita. Per restare alla Calabria, essa nonostante le sue storiche fragilità si sta muovendo con passo diverso. L’export cresce, la domanda di lavoro tra giugno e agosto è aumentata sensibilmente, il turismo vive una stagione di espansione. Anche nella parte più profonda dello stivale, inoltre, si inizia ad avvertire il crescente «mismatch» tra domanda e offerta: le imprese cercano competenze che spesso non trovano, mentre una parte della forza lavoro resta inattiva o formata in modo inadeguato. Per questo, quel che veramente serve è un grande piano di formazione in grado di accompagnare la trasformazione tecnologica, energetica e digitale che stiamo vivendo.

Strumenti per guidare i giovani nei loro studi, rendere davvero utili i tirocini, trattenere i talenti con salari dignitosi e attrarne di nuovi dall’estero.

L'idea di riesumare la logica del sussidio, proprio nel mentre s’inizia a diffondere una cultura d’impresa, appare un’assurdità. In politica la propaganda è quasi sempre un male. Se poi la si fa sulla pelle delle nuove generazioni, può divenire un crimine.

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