Prima o poi doveva accadere, a forza di allarmi su ogni cosa era nell'aria la possibilità di una fusione tra generi diversi di paure. Ed ecco l'incubo dei cinghiali radioattivi: il panico per il cibo che mangiamo e quello per l'inquinamento ambientale e l'energia nucleare si incontrano. Il fatto è noto: tracce di Cesio 137, un isotopo radioattivo generato dalla fissione nucleare, sono state trovate in 27 cinghiali uccisi nell'Alta Val Sesia tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013. Mistero sulle cause, però al momento l'unica ipotesi che viene accreditata è quella relativa al disastro nucleare di Chernobyl del 1986: la radioattività sarebbe stata «catturata» dai ghiacciai del Monte Rosa e ora con lo scioglimento dei ghiacciai avrebbe inquinato il terreno; essendo il cinghiale un animale unico quanto ad alimentazione, perché si ciba nel sottobosco ingoiando anche grandi quantità di terreno, ecco che tale spiegazione prende corpo. Se poi questa ricostruzione verrà confermata lo vedremo prossimamente, però intanto registriamo l'ennesimo allarme che riguarda il cibo. Solo in questi giorni, non si è ancora spenta l'eco dello scandalo della carne equina in lasagne e polpette, che ecco insieme ai cinghiali radioattivi scopriamo l'esistenza di capesante e altri molluschi al cadmio, trovate ieri nel mercato del pesce di Chioggia. In questo caso il problema nasce dalla frode di dieci pescatori che avrebbero pescato in acque vietate e notoriamente inquinate. Contemporaneamente un altro allarme arriva dalla Germania per una partita di insalata romana importata dall'Italia e contaminata da veleno per topi. Se guardiamo agli esempi appena citati ci accorgiamo che si tratta di contaminazioni alimentari molto circoscritte geograficamente e anche temporalmente, dovute a cause particolari perlopiù ben identificate. Ciò non toglie che l'allarme sia generale, e si può stare tranquilli che se anche il caso dei cinghiali radioattivi riguarda soltanto l'Alta Valsesia, ci sarà un crollo nel consumo di carne di cinghiale anche in Calabria. E insieme a questo ecco il rafforzarsi di un panico generalizzato, la convinzione che «il cibo ci sta avvelenando», il ripetersi ossessionato della domanda «Ma cosa possiamo mangiare?». Del resto ogni giorno riceviamo messaggi contraddittori e negativi sul cibo: il burro fa male, no è peggio la margarina; lo zucchero è assolutamente da evitare ma guai ad affidarsi al dolcificante, che è cancerogeno, come il pesto peraltro; il salame assolutamente no, contiene conservanti; e non parliamo del terrore che ci siano verdure o carni contaminate da organismi geneticamente modificati. Insomma si vive nella crescente sensazione che mangiare faccia male alla salute. E in un certo senso è vero: Umberto Veronesi ha scritto un libro sui benefici del digiuno.
Il paradosso è che questo terrore alimentare è un fenomeno tipico delle società ricche, dove c'è una disponibilità senza precedenti di cibo, sia quantitativamente sia per la varietà. E anche una sicurezza alimentare a livelli altissimi. Forse proprio gli accurati controlli sul cibo, che permettono di rilevare anche le più piccole irregolarità, contribuiscono a creare questa paura diffusa, che poi i media alimentano irresponsabilmente.
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