Quattro mesi al tecnico informatico Padre Lombardi: l'inchiesta continua

Nel secondo processo per la fuga dei documenti top secret del Papa, conclusosi ieri con la condanna a quattro mesi di reclusione (ridotti a due per le attenuanti) per favoreggiamento dell'informatico Claudio Sciarpelletti, è spuntato un nuovo nome: si tratta di monsignor Pietro Pennacchini, ex dipendente della sala stampa vaticana. A introdurre questo nuovo nome, stando al racconto di chi ha assistito al processo, è stato il Promotore di giustizia Nicola Picardi, che poi ha letto «a sorpresa» un verbale che ha creato, sempre stando a chi ha assistito all'udienza, le proteste della difesa di Sciarpelletti. Il promotore Picardi si è rifatto all'interrogatorio del 29 maggio scorso nel quale il tecnico informatico aveva cambiato versione dei fatti e aveva sostenuto di aver ricevuto una seconda busta da monsignor Piero Pennacchini. Da parte sua, Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa già condannato per la stessa vicenda, ha «salvato», con la sua testimonianza in aula, monsignor Carlo Maria Polvani, il responsabile dell'Ufficio Informazioni della Segreteria di Stato.

Il sacerdote, nipote di monsignor Carlo Maria Viganò - che per primo aveva scritto al Papa per denunciare la corruzione diffusa in Vaticano- era stato accusato da Sciarpelletti di avergli consegnato una busta di documenti incriminanti, da far avere a Gabriele. Ma il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi dice: «l'istruttoria non è chiusa».

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