In una società che sente tanto (ma ascolta poco), il museo of endagered suonds, ossia dei «suoni in via d'estinzione», è qualcosa che emoziona. L'abbiamo scoperto casualmente, navigando in rete per una ricerca che nulla aveva a che fare con i «rumori scomparsi». Ma il bello del web è anche questo: clicchi nella speranza di trovare una cosa e, senza volerlo, ne scovi cento più interessanti. Così abbiamo fatto la conoscenza virtuale di un ragazzo con la faccia da secchione, Brendan Chilcutt, 25 anni, che dalla sua casa negli States ha cominciato ad archiviare sul pc la registrazione di «rumori» che negli anni '80 e '90 erano talmente comuni da passare inosservati, ma che oggi sono diventati rari audioreperti per archeologi metropolitani. Una sorta di colonna sonora della memoria, con tanto di patetica (patetica?) nostalgia per quella cassetta che faceva klak entrando nel videoregistratore; per quel gettone che faceva tcun ingoiato dal telefono della cabina; per quel cchhh che la puntina del giradischi urlava sfregando il solco del vinile; per quel tac tac tac della macchina da scrivere; per quel biiiip del cercapersone. Roba che le orecchie dei giovani post anni '90 non hanno avuto il piacere di intercettare. Si sono persi qualcosa di «bello»? Mah, chi può dirlo...
Certo è significativo che l'idea di ridare voce a questi suoni da matusa non sia venuto a un matusa, ma a un figlio della Jobs generation che il gracchiare a punta di una telescrivente non riesce neppure a immaginarselo. Eppure nella web carrellata di Brendan Chilcutt c'è anche lei, la telescrivente. Grazie Brendan per non averla dimenticata. E per aver riesumato dalla soffitta delle anticaglie tecnologiche anche il suono dei primi modem, il trillo dei primi cellulari Nokia, oltre alle le musichette di videogiochi cult come Pacman e Tetris, passando per Tamagochi e Game Boy. Tutto lì, consultabile - anzi, riascoltabile - sul sito The Museum of Endagered Suonds, ovvero il «Museo dei suoni in via di estinzione». Per l'iniziativa di Brendan le definizioni si sprecano: da «progetto retrò» a «operazione amarcord».
Comunque il giovane Chilcutt non si ferma qui: «Il mio sogno è creare una grande banca dati per fare in modo che nessuno di questi suoni, che hanno accompagnato la vita di molti di noi, scompaiano o vengano dimenticati».
«Il maggior numero dei rumori registrati - spiega Brendan - si riferiscono a oggetti degli anni '70, '80 e '90. Ogni giorno mi viene in mente qualcosa di nuovo e comincio la mia audioricerca che poi riverso nel sito in corrispondenza dell'immaggine dell'oggetto in questione. Basta poi fare un doppio clic sulla foto, ed ecco partire il suono della memoria...». Il suo sito ha registrato negli ultimi tempi un boom di contatti, proprio mentre in Italia infuriano le polemiche per la probabile soppressione - causa spending review - dell'Istituto per i beni sonori e audiovisivi che raccoglie la documentazione audiovisiva della storia italiana dal 1928: una vera e propria memoria storica orale, che sarebbe meglio conservare gelosamente, proprio come sta facendo Brendan nel suo web-museo. Una vetrina dove a farla da padrone è la tecno-voce di creature che oggi stanno alla modernità con la stessa disinvoltura di un dinosauro. Spiegano gli esperti: «Quei rumori rappresentavano l'impronta di un mondo analogico che veniva collegato al digitale, e ogni rumore aveva un proprio significato, indispensabile per trasmettere dati su una tecnologia nata per trasmettere suoni». Ma la nostra memoria personale non può avere solo un cuore high-tech.
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