Questa è l'Italia degli «sbancati» il commento 2

di Antonio Signorini

È una storia antica: gli altri non si fidano di noi e noi non ci fidiamo degli altri. Ci sono famosissime - e abusate - teorie sociologiche che spiegano come in Italia si tenda a considerare un potenziale nemico o addirittura un aggressore chiunque stia al di fuori della cerchia familiare. Schema valido nella vita di tutti i giorni, in politica e, ancora di più, quando si tratta di affidare i nostri soldi a qualcuno. Non sorprende quindi sapere che l'Italia, ottava economia mondiale, terza potenza dell'Euro, sia il fanalino di coda per quanto riguarda il numero di conti correnti rispetto alla popolazione. Il territorio dove sono nate le prime banche, oggi svetta per cittadini unbanked. Il 29% delle persone sopra i 16 anni è senza libretti e depositi contro lo 0% dei paesi scandinavi e il 2-7% dei nostri partner europei, Spagna compresa. Siamo in compagnia dei paesi dell'Europa ex comunista, che però sono giustificati da una minore dimestichezza con la finanza e da redditi pro capite inferiori al nostro. Si dirà, colpa dell'economia in nero. Ma in questo caso il discorso non regge, con buona pace di chi ha piacere (o vantaggio) nel racchiudere problemi complessi dentro schemi facili e alla moda. Chi ha un'attività ed entrate non dichiarate ha tutto l'interesse a non attirare l'attenzione su di sé e simulare una situazione da buon contribuente, compreso un conto in banca dove fare transitare almeno una parte del proprio reddito. Non sono gli evasori, quindi, i principali obiettori dello sportello.
Più facile che il popolo degli sbancati militanti sia composto da redditi medio bassi. Pensionati, precari e lavoratori dipendenti e partite Iva che faticano a mettere insieme un vero stipendio. Non è un caso che il governo uscente abbia cercato di fare entrare in banca, proprio le fasce basse della popolazione, a partire dai pensionati, con l'obbligo dell'accredito per le rendite sopra i 1.000 euro e i limiti al contante nei negozi.
La spiegazione, o una delle spiegazioni, alla sfiducia degli italiani verso le banche è contenuta nella stessa ricerca della Western Union. Siamo in fondo alla classifica anche nell'accesso al credito. Il 5% degli italiani ha avuto prestiti dalle banche, contro il 12% della media europea e punte del 24-25% nei soliti paesi del Nord Europa.
Difficile ottenere credito dalle banche in Italia per una casa, impossibile se i soldi servono a finanziare l'avvio di un'attività. Problematico avere soldi in prestito anche per chi vanta crediti verso la pubblica amministrazione, che da noi è un cattivo pagatore come un altro. Insomma, le banche non hanno fiducia nella capacità di rientrare degli italiani e loro le ripagano con la stessa moneta, dimostrando con i fatti di considerarle cattivi e costosi custodi del denaro. Gli istituti di credito hanno paura che il debitore fallisca e i cittadini hanno paura che loro non trattino bene i loro soldi. Un circuito vizioso destinato ad aggravarsi quando entrerà in vigore il trattato Basilea III. Un'ulteriore stretta al credito che metterà in difficoltà economie più solide della nostra e che da noi si abbatterà su un sistema economico dove il sostegno delle banche all'economia e al territorio è più l'eccezione - magari di piccoli istituti cooperativi - che la regola.

Nei prossimi mesi le banche dovranno accumulare maggiori riserve e saranno ancora meno propense a concedere credito. Dovranno ristrutturare e, magari caricare ancora di più i costi per i correntisti. Che potranno chiedersi, a maggior titolo, se non valga la pena lasciare i soldi sotto il materasso.

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