Quirinale, Marini in due elezioni non raggiunge il quorum

Le prime due elezioni finiscono in nulla di fatto. Al secondo scrutinio Pd e Pdl scelgono la scheda bianca

Quirinale, Marini in due elezioni non raggiunge il quorum

Seconda fumata nera del Parlamento riunito in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica. Le schede bianche sono state oltre 400. Nessuno ha raggiunto la fatidica soglia dei 672 voti, necessaria per essere eletti nelle prime tre votazioni (dalla quarta il quorum si abbassa a 504). Stefano Rodotà ha ottenuto 230 preferenze, Chiamparino 90, D’Alema 38, Marini 15, Mussolini 15, Prodi 13, Bonino 10 (seguono altri candidati con pochi voti). Domani la terza e ultima votazione con la soglia qualificata dei due terzi dell’Assemblea.

Franco Marini dunque non ce l'ha fatta. Grande favorito - sulla carta era sostenuto da Pd e Pdl e su di lui avrebbero dovuto convergere anche i voti di Scelta civica e Lega Nord - l'ex presidente del Senato ha pagato la clamorosa spaccatura che si è consumata mercoledi sera in seno al Pd. Nella prima votazione si è fermato a quota 521 (per essere eletto servivano 672 voti). Al secondo posto Stefano Rodotà con 240 voti, terzo Sergio Chiamparino con 41 preferenze. I grandi elettori hanno anche espresso 14 voti a favore di Prodi, 13 per Emma Bonino, 12 voti per Massimo D’Alema, 10 per Napolitano, 7 per Finocchiaro,2 per la Cancellieri e altrettanti per Monti. Le schede bianche sono state 104, le nulle 15. I voti dispersi 18

Rodotà, candidato del MoVimento 5 Stelle, piace a buona parte della sinistra, a partire dai vendoliani. "Sel decide all’unanimità per il voto a Rodotà", ha scritto questa mattina su Twitter il capogruppo Gennaro Migliore, mentre Vendola si è apprestato a dire che, nonostante la divergenza di visuale, "non è il tramonto dell’alleanza con il Pd". E c'è anche chi, come Roberto Giachetti, ha sparigliato e ha dichiarato: "Io voto Bonino. Il dissenso nel Pd non è circoscritto ai soli renziani ma ci sono molti altri malumori".

A richiamare all'unità il Partito democratico è stato proprio Marini, che non vuol sentir parlare di scissione, mentre secondo Massimo D'Alema la candidatura dell'ex sindacalista è stata "approvata dai nostri gruppi parlamentari" e "un partito serio non può che comportarsi con coerenza in queste ore così importanti per l’avvenire del Paese".

L'ipotesi più credibile e che ora si cambi nome. Tre sono quelli più accreditati. Si pensa a qualcuno che non sia stato nemmeno ipotizzato finora e che non sia già stato "bruciato". Magari una figura istituzionale, come Anna Maria Cancellieri, che si sia "sporcata" poco con la politica.

Un'altra possibilità è quella di accordarsi su Massimo D'Alema, che potrebbe contrastare Rodotà. E infine rispunta il nome di Romano Prodi, su cui difficilmente si raggiungerebbe un accordo con il Pdl, ma presente (seppur al penultimo posto) nella lista dei "papabili" per il M5S.

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