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La rabbia dei malati di tumore "Basta tagli sulla nostra pelle"

In tempi di crisi molte amministrazioni locali riducono i fondi ai farmaci più efficaci. L'ex ministro De Lorenzo: "Lo Stato accentri il controllo"

La rabbia dei malati di tumore "Basta tagli sulla nostra pelle"

Si rivolgono a tutti i leader in lizza alle prossime elezioni. Ma non sventolano una bandiera politica bensì un elenco di richieste per una vita dignitosa. Quella a cui avrebbe diritto ogni malato di cancro. Che non deve né sentirsi emarginato né un cittadino di serie b.
Invece succede che quando la crisi economica morde i bilanci delle Regioni, qualche governatore, pur di risparmiare, tende a tagliare con le forbici l'essenziale senza troppi indugi. E così in Veneto era stato già deciso per decreto (poi ritirato) di non somministrare un farmaco costoso alle donne malate di tumore alla mammella che avevano superato i 65 anni. E alle «Molinette» di Torino, in crisi di liquidità farmaceutica, avevano invitato i malati di tumore a comprarsi i medicinali per le terapie orali in farmacia e poi portarli in ospedale per la somministrazione.

Casi isolati ma significativi, che hanno fatto saltare dalla sedia i responsabili di tutte le associazioni italiane più importanti a cominciare dal Favo (Federazione italiana Associazioni di Volontariato in Oncologia). L'agguerrito presidente si chiama Francesco De Lorenzo, medico, ex malato di cancro e influente politico nazionale. Ed è lui che ammonisce tutti e lancia un appello: «È ora che lo Stato accentri il controllo in campo sanitario. Bisogna modificare il titolo quinto della Costituzione che trasferisce le competenze alle regioni nella sanità: bisogna garantire uguale trattamento a tutti i malati, oggi questo non avviene». Un esempio: «Ad eccezione di Lombardia, Marche, Friuli, Piemonte, le altre regioni non garantiscono l'erogazione dei farmaci salvavita innovativi nonostante siano stati approvati dall'Aifa. E così i malati diventano dei pendolari e fanno la spola da una regione all'altra». Ma questo esercito silenzioso cresce ogni giorno di più. I numeri fanno tremare i polsi. L'anno scorso in Italia sono stati diagnosticati 364.000 nuovi casi di tumori maligni (circa 1.000 casi al giorno).

E circa 2.250.000 hanno avuto una diagnosi positiva. Ormai le malattie neoplasiche rappresentano il 33% delle disabilità e inabilità di massa. I nuovi casi di tumore pesano sul bilancio dello Stato per oltre 8 miliardi all'anno, pari a circa 25.800 euro l'anno per paziente. Come se non bastasse, ogni famiglia di un malato di tumore in media perde, tra spese dirette, indirette e mancato guadagno, ben 35.000 euro l'anno. Costi impossibili da sostenere. Così De Lorenzo lancia la sua proposta: «Bisogna smetterla di tagliare in modo orizzontale le spese sanitarie. A cominciare dai posti letto: vanno chiusi i reparti che operano poco e favorire quelli delle grandi strutture. Inoltre non si deve restringere l'erogazione dei farmaci perché ogni malato è uguale all'altro, sia che abiti in Lombardia sia che abiti in Calabria».

E ancora: «Basta ticket per le grandi malattie quando si tratta di farmaci salvavita. Il governo deve garantire la riabilitazione in ogni regione. Se ciò non avviene lo Stato deve riprendersi i soldi destinati. Purtroppo, al Sud l'assistenza domiciliare o la riabilitazione non esiste e i fondi vengono ingoiati in altre voci di bilancio. Questo è un andazzo che va stroncato».
De Lorenzo è un fiume in piena.

I politici devono ascoltare questa grande massa di gente che soffre e che vuole scegliere nelle urne chi si prenderà a cuore le loro istanze. «Berlusconi ha approvato il piano oncologico e ha mantenuto le promesse fatte. Ora però bisogna attuarlo perché è fermo da due anni. Chi vuole stringere un patto con noi?».

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