
S ette anni dopo l'incoronazione, Re Giorgio si ritrova a capo di un Paese povero. E così all'ora del cenone, mentre gli italiani mangiano le lenticchie sperando che si trasformino in soldi, è costretto a pronunciare il discorso che non avrebbe mai voluto fare. «In Italia - dice triste, accorato - ormai c'è una vera questione sociale. Impossibilità di cavarsela con le pensioni minime, vana ricerca di lavoro, due milioni di minori che vivono in famiglie sotto la soglia dell'indigenza, intere regioni, come la Sardegna, condannate senza speranza». Colpa della crisi globale, certo, ma forse anche nell'insostenibile leggerezza del tecnici. Va bene il rigore, «pareggiare i conti è necessario», però serve anche «umanità» da parte di «chi ha responsabilità decisionali». Basta sangue, è l'ora dello sviluppo.
Ora poi Monti è pure entrato in campo. Poteva farlo? Certo, è legittimo, «non è il primo caso». Doveva? Insomma, mica tanto: «Il senatore a vita ha compiuto una libera scelta» tutta sua e ora, «dopo aver presieduto un governo tecnico, patrocinerà una nuova entità politico-elettorale che prenderà parte alla competizione alla pari con gli altri schieramenti». Il tecnico si è fatto politico, da super partes a parte in causa. Napolitano non gradisce.
Lo voleva ancora neutrale invece il Prof non ha ascoltato i consigli del Quirinale ed è andato avanti con la sua Agenda. Adesso da Palazzo Chigi porterà il Paese alle urne. Ma deve fare molta attenzione. «Il presidente del Consiglio dimissionario è tenuto, secondo una prassi consolidata, ad assicurare entro limiti ben definiti la gestione degli affari correnti e ad attuare leggi e deleghe già approvate dal Parlamento, nel solco delle scelte sancite con la fiducia dalle diverse forze che lo sostenevano». Una precisazione irrituale, quasi scontata, a meno che non serva per mettere Monti ufficialmente sotto tutela, a reti unificate. Infatti, aggiunge, «il ministro dell'Interno garantirà con assoluta imparzialità il corretto svolgimento del procedimento elettorale». E chissà, anche quando parla dei candidati puliti, forse dietro c'è qualche allusione: «Non si è saputo riformare la legge elettorale, la prova d'appello è ora la formazione delle liste. Sono certo che gli elettori ne terranno conto».
In queste parole, tutta la delusione del presidente per le ultime mosse di SuperMario. Peccato perché, sostiene, non è stato un anno da buttare. «Le scelte di governo sono state dettate dalla necessità di ridurre il nostro massiccio debito pubblico, i cui interessi ci costano 83 miliardi l'anno. C'è stato un ritorno di fiducia nell'Italia, si è ridotto il famoso spread che da qualche anno è entrato nelle nostre preoccupazioni quotidiane». Il prezzo pagato sono «i sacrifici pesantissimi dei cittadini». E siccome non finisce qua, «i giovani hanno ragione a essere indignati, a protestare per scelte sbagliate, grovigli, riforme mancate e per il calvario alla ricerca di lavoro». Si tratta di «fenomeni che stanno corrodendo la coesione sociale».
Mancano due mesi al voto e Napolitano dice «di non voler interferire». Ma non rinuncia a dare la linea. «I pesi del risanamento vanno redistribuiti, i tagli non possono essere indiscriminati, è decisivo far ripartire l'economia e l'occupazione», magari cominciando dal nostro petrolio, «la cultura, di cui sempre si parla e basta». Troppo rigore soffoca, troppa Europa anche: «L'Italia non può fare da passivo esecutore». E la politica, tutta, deve cambiare.