La regina e Muhammad Alì, luci e ombre della vita in una cerimonia

La regina e Muhammad Alì, luci e ombre della vita in una cerimonia

Una regina, un campione, due cani. L'album dei Giochi di Londra regala figurine non previste, da collezionista d'epoca. Elisabetta, Marcellus, Monty, Willow, momenti diversi, comici e strazianti, di una stessa notte abbagliante. L'imprevista Bond Girl e i sue due improbabili corgis, Monty e Willow, passano alla storia non per il giubileo ma per i fotogrammi di un corto che ha visto 007, mister Daniel Craig, semplice comparsa, anche imbarazzata, un Casino Royale con en plein finale. E' l'Inghilterra che sa prendersi in giro, irriverente, off the wall, mister Bean rende ridicoli i momenti di gloria, James Bond torna al servizio segreto di sua Maestà, i due cagnetti corgis che, essendo gallesi, non capiscono tanto fermento per la loro padrona paracadutista, tutti buffi eroi di una sera olimpica, magica, fiammeggiante, inglese, very british.
Poi è apparso, quasi dal buio, Marcellus Cassius Clay, detto per conversione Muhammad Alì. Portava gli occhiali scuri che fasciavano occhi più scuri della notte londinese, l'abito bianco, come la camicia, la cravatta, era la sola luce di un uomo ormai spento dalla malattia, il viso non aveva espressione, smorfia, sorriso. Marcellus era sorretto da una donna che gli mormorava faticosamente parole, il colosso di sabbia non camminava, trascinava la propria ombra e la propria storia, la gloria di cinquantadue anni fa, quando a Roma non era ancora Muhammad e danzava sul ring e pungeva, tramortendoli, i suoi avversari, incominciando così la sua grandissima avventura.
La badante ha preso quella mano, fredda, immobile, un tempo era una zanzara di acciaio, e l'ha avvicinata lentamente verso la bandiera dei Giochi. Non è stato semplice, nemmeno facile, Marcellus non capiva, non sapeva, non vedeva. Voleva essere, quella, la carezza di campione che non può, non deve morire, il fremito straziante di un uomo al tappeto ma non sul quadrato. Il tempo non concede spazio, strappa le nostre fotografie, distrugge i nostri giocattoli. Attorno, i fuochi pirotecnici avevano echi e bagliori lontanissimi, Marcellus Cassius Clay è scomparso, di colpo, così come era apparso, portato via, stavolta velocemente, da quella stessa signora che lo aveva sorretto e accompagnato alla festa. Era come se qualcuno avesse soffiato, spegnendola, su una candela.
Lo sport vive di nostalgia e corre verso il futuro, si ferma per celebrare e, subito dopo, volta la pagina del diario. Muhammad Ali è uscito dai Giochi mentre Elisabetta addobbata come un salmone osservava l'evento, mai mollando la nera borsetta da sera, nettandosi le unghie, durante la sfilata delle squadre, annoiata in assenza dei cavalli, suoi preferiti dopo i gallesi Monty and Willow; questi Giochi non sono altro che uno dei tanti appuntamenti di un anno mirabilis.
Quando ha pronunziato la formula di inaugurazione, uguale da sempre, qualcuno ha ricordato il discorso del re nello stadio imperiale di Wembley.

Suo padre Giorgio VI, senza una sola sillaba balbettata, dichiarò ufficialmente aperte le Olimpiadi del Quarantotto. Londra, dopo la guerra, sembrava in bianco e nero, immersa nella nebbia e nel fumo del carbone.
Sessantaquattro anni dopo, la notte di venerdì aveva tutte le luci del mondo. Tranne una.

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