Roma«Sia Veltroni sia D'Alema tifano Renzi, ora gli toccherà scegliere tra i due...», dice un parlamentare Pd. «Se li prendesse entrambi, così perde e il congresso lo vinciamo noi», risponde Matteo Orfini.
Uno scambio di battute scherzose, niente più, ma dà idea della confusione e dei paradossi della vicenda interna al Pd. Dove tutti sanno che Matteo Renzi è l'unica carta da giocare se il Pd vuole avere un futuro (basta vedere come qualsiasi candidato sindaco ai ballottaggi, anche quelli schierati contro di lui alle primarie, ora lo invoca come la madonna pellegrina per essere aiutato a vincere), ma quasi tutti sono al tempo stesso intenti a fare le barricate contro il sindaco di Firenze.
Anche per questo Matteo Renzi inizia ad alzare la voce, e si va via via convincendo che - come aveva anticipato nell'intervista al Giornale - a questo punto «prendersi il partito» possa diventare necessario. «Il rischio che mi candidi alla segreteria c'è», dice a Repubblica. E con la Stampa è duro verso i capi clan del Pd: «Questa specie di tiro al bersaglio che parte appena apro bocca deve finire, perché sto cominciando a rompermi le palle. E non credo che a loro convenga». Nella partita delle cariche interne, stavolta, Renzi aveva provato a inserirsi, chiedendo una casella chiave, quella dell'Organizzazione. Che invece Epifani ha consegnato al bersaniano Zoggia. In un mastodontica (e pressoché inutile, visto che durerà pochi mesi) segreteria, in cui ogni corrente e spiffero ha rappresentanza, l'unico renziano è il fiorentino Luca Lotti agli Enti locali, assai poco esperto di alchimie romane e dunque facilmente aggirabile dall'apparato. E nella commissione per il Congresso, fondamentale perché deciderà le regole con cui sarà eletto il segretario, i Giovani turchi hanno ben tre uomini, Renzi uno solo. Il sindaco sente puzza di bruciato: «Se vogliono farmi la guerra lo dicano, così mi regolo». Perché il «piano B», ossia mollare il Pd al suo mesto destino e mettersi in proprio, come una parte dei suoi gli consiglia (uno per tutti, il vate di Eataly Oscar Farinetti), resta una variabile possibile. Un azzardo per Renzi, ma un colpo mortale per il Pd.
L'alternativa è puntare alla leadership del partito («Per rinnovarlo da capo a piedi») in accordo con Enrico Letta. Cui Renzi non risparmia critiche per la troppa prudenza («Per cambiare questo paese serve la ruspa o il cacciavite? Enrico pensa che il cacciavite sia sufficiente, io credo occorra di più»), ma al quale assicura piena lealtà: «Non ho alcuna intenzione di fargli la guerra». Con Renzi alla guida del Pd, il governo potrebbe andare avanti fino al 2015, e alle elezioni - chiusa la parentesi delle larghe intese - il sindaco sarebbe il candidato premier.
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