La fotografia la scatta ironico Roberto Giachetti, renziano della prima ora in casa Pd: «Due anni fa ci voleva il binocolo per vedere un parlamentare che stesse con Renzi. Ora non basta il più potente grandangolo a inquadrarli tutti».
E la battuta non vale solo all'interno del partito del premier, ma anche fuori: non ci sono più maggioranza e minoranze nel Pd, non c'è più una coalizione di governo e anche pezzi di opposizione stanno smottando, per confluire tutti in quello che non è tanto il Pd quanto una sorta di magnetica «ForzaRenzi». La fila è lunga, da Sel a Scelta civica passando per il frastornato Ncd («Bisogna riconoscere che l'unico che ha vinto è Renzi», constata la capogruppo Nunzia Di Girolamo, gelando i trionfalismi un po' surreali di Alfano) e pezzi di Cinque Stelle in fuga. E lui, il premier, sorride accogliente: «Non facciamo nessuna campagna acquisti in Parlamento», dice, ben sapendo di non aver bisogno di farla, «ma non c'è dubbio che la disponibilità ad avvicinarsi al Pd sia fisiologica, in una legislatura che guarda al 2018 e con partiti che sono scomparsi nelle urne».
La maggioranza insomma è destinata ad allargarsi e rafforzarsi. Anche perché, nota sarcastico Renzi, «la voglia di votare è passata a tutti». A tutti gli altri, sottinteso: «Quanto a noi, non abbiamo ansie di prestazione». E questa diffusa avversione per le urne il premier ha tutte le intenzioni di usarla a suo vantaggio, per domare un Parlamento che finora è stato lento, malmostoso e ha fatto ostruzionismo alle sue riforme. D'ora in poi, invece, si deve andare avanti spediti, secondo il calendario dettato da Renzi alla Direzione di ieri: subito il Senato, ma entro l'estate l'Italicum. Che è la partita più difficile ma più necessaria, visto che come spiega il professor D'Alimonte neppure il 40% basterebbe a vincere le elezioni con il famigerato Consultellum.
Ieri la Direzione Pd sembrava ipnotizzata e soggiogata dal suo leader del 40%. Applausi scroscianti, risate a ogni battuta renziana, gara a stringergli la mano o dargli una pacca sulle spalle. «Nessuno di noi avrebbe immaginato questo risultato», sottolinea lui, ma avverte: «È solo un accidente della storia o diventerà un punteggio stabile? Insomma, vogliamo vivere l'istante o metterci la residenza, in quel 40%?». Sottinteso: dipende da voi, e da quanto vi darete da fare per mandare avanti la mia agenda. Ma il Matteo Renzi del 40% si mostra ecumenico e generoso, per nulla gradasso: non solo cita le «belle parole» di Reichlin, padre nobile della sinistra post-Pci, che sull'Unità ha parlato del Pd di Renzi come del «partito della Nazione», non solo saluta affettuoso Pier Luigi Bersani seduto di fronte a lui in platea, ma benedice la famosa «foto di gruppo» della notte del voto, piena zeppa di suoi ex acerrimi avversari: «Trovo allucinanti le polemiche, non c'è stato nessun salto della quaglia verso la maggioranza interna, quella foto è il Pd che ora ha, tutto insieme, la responsabilità di continuare il cambiamento».
D'altronde è stato proprio lui, quella notte, mentre exit poll sempre più trionfali affluivano al Nazareno, a far irruzione nella stanza dove erano riuniti i bersanian-dalemiani della minoranza, da Fassina a D'Attorre a Stumpo, e a tuonare allegramente: «Ragazzi, mi pare il caso che anche voi andiate a spiegare ai giornalisti che abbiamo vinto, no?». E ancora lui a spedire tutti in sala stampa per la foto di gruppo.
E anche sulle riforme il premier è pronto a tendere la mano e a dimostrare di saper vincere: il senatore renziano Marcucci ha depositato ieri la proposta di mediazione, che dovrebbe chiudere lo scontro sul Senato: i suoi membri verranno eletti secondo il «modello francese», da un'ampia platea di sindaci e consiglieri regionali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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