«Ci ha dato sette o ottomila sberle in faccia, a noi del Pd», osserva Beppe Fioroni. «E ce le siamo pure meritate tutte, inutile far finta che abbiamo combinato qualcosa di buono», replica Stefano Fassina.
I Grandi elettori democrat escono uno ad uno dall'aula di Montecitorio, e nella più parte sembrano rinfrancati e rassicurati, dopo le batoste di queste settimane e le «sberle» di Napolitano: hanno trovato un leader, il capo dello Stato. E forse oggi troveranno anche un candidato premier per il governo del Presidente: Matteo Renzi. Il sindaco sembra deciso a rompere gli indugi, e dentro e fuori il Pd molti stanno ragionando su questa possibilità, che oggi sarà al centro del dibattito in Direzione: «Se il Pd si compatta su di lui, la cosa è in campo», dicono dall'Udc. Tanto che il giovane turco Matteo Orfini prende la rincorsa e si butta a candidarlo lui, per primo.
«Non è un'ipotesi in discussione in questo momento», dice Renzi ospite su La7 da Lilli Gruber. Ma contemporaneamente lancia quello che sembra proprio il manifesto di un ambizioso esecutivo (votato assieme al Pdl, perché «non abbiamo vinto le elezioni, è un dato di fatto») nel quale «il Pd deve indicare il candidato premier», e nel quale deve stare «da protagonista, invece di averne paura e vivere di fantasmi». I punti programmatici li ha già chiari: «Agire subito contro l'emergenza occupazionale, abolire il finanziamento pubblico, le province, abbattere costi e posti della politica, aggredire la burocrazia che ammazza il paese: il Pd abbia il coraggio di fare questo lavoro, sfidando Berlusconi e Grillo». Quanto ai rapporti con il leader di centrodestra («Che non deve andare in galera, ma se mai a godersi la pensione»), Renzi si dice convinto che ora occorra «un gesto di serenità, perché non alimentare la tensione sarebbe puro buon senso».
Oggi dunque la direzione Pd sarà un appuntamento cruciale. «Napolitano? Un gigante», lo acclamano ad una voce il veltroniano Andrea Martella, l'ex Ppi Antonello Giacomelli, il renziano Ermete Realacci. «Ci ha scritto anche la relazione da approvare martedì in Direzione», nota Andrea Orlando. «Così va il mondo, tocca a noi miglioristi salvare la patria», gongola l'ex tesoriere Ds Ugo Sposetti. Ad alimentare il ritrovato buon umore arriva pure il risultato insperato del Friuli, dove (mentre i sondaggi danno il Pd in calo si 6 punti, a livello nazionale) Debora Serracchiani - fortemente sostenuta da Renzi - riesce a sorpresa a vincere.
Ora però c'è da «dire sì a Napolitano», come scandisce Dario Franceschini, e dire sì al suo governo «nella forma che deciderà il Presidente». E chi non si adeguerà sulla fiducia, avverte l'ex capogruppo, «si mette inevitabilmente fuori dal Pd». L'aut aut è duro, stavolta. Anna Finocchiaro lo dice chiaro: «Ci vuole un governo politico, ovviamente di eccellenze, ma un governo che risponda alle richieste del paese». Che ci possa essere, al momento della fiducia, un pacchetto di dissidenti nel Pd viene dato per scontato. «Io condivido l'appello di Napolitano, ma un governo è di larghe intese solo se sostenuto anche dal M5S. Se no sarebbe esclusivamente un accordo Pd-Pdl e io sarei contrario», annuncia Orfini.
La sensazione diffusa però è che saranno molto pochi: «Mi dispiacerebbe: è una vita che lavoro perché in questo partito si faccia finalmente chiarezza, e voi mi dite che neanche stavolta se ne vanno?», sbotta Fioroni. Quel che è certo è che mai come oggi la partita del futuro Pd e quella del governo sono strettamente intrecciate.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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