RomaMatteo Renzi si fida di Enrico Letta quanto Enrico Letta si fida di Matteo Renzi. Cioè zero. È il punto sul quale, tra i dioscuri Pd, c'è vera sintonia. Forse l'unico.
Ma naturalmente nessuno dei due può dirlo così esplicitamente. E comunque, per il momento, entrambi sono obbligati a far buon viso a cattivo gioco: Letta per tenere in piedi un governo a un passo dalla bancarotta (e ieri, senza concordarlo col segretario Pd, ha anche praticamente annunciato un prossimo rimpasto), e Renzi per portare a casa l'unica arma che gli può dare potere contrattuale rispetto alla maggioranza e che può sventare la palude del proporzionale puro cucinato dalla Consulta, ossia la legge elettorale. Così ieri mattina all'alba, accogliendo le suppliche del «mediatore» Dario Franceschini e forte dell'accelerazione imposta alla Camera sulla legge elettorale, calendarizzata in aula per il 27 gennaio, il leader del Pd è salito a Palazzo Chigi e ha incontrato il premier, sancendo un (fragile) patto: Letta smetterà di boicottare il varo della riforma del Porcellum, e in cambio Renzi non darà spallate al governo.
Quanto questo patto possa funzionare è tutto da vedere, ma per ora a Palazzo Chigi si avalla l'ipotesi, e il leader Pd ufficialmente non smentisce. Ora partirà il conto alla rovescia per verificarlo, perché Renzi ha spiegato a Letta che se non ci sarà la certezza che tutta la maggioranza (compresi gli alfaniani e i centristi di Casini & Co) è pronta a votare in tempi brevissimi la cosiddetta riforma del «sindaco d'Italia», con il doppio turno, lui andrà «avanti con chi ci sta», Silvio Berlusconi in primis, sul Mattarellum.
Sistema sul quale potrebbe ottenere il sostegno di Lega, Sel e Scelta civica e mettere in grave difficoltà anche Beppe Grillo. Chiaro però che, se si approvasse una legge elettorale con una maggioranza diversa da quella del governo, le ripercussioni sull'esecutivo diventerebbero difficili da controllare. E infatti gli uomini del premier si affrettano a sbarrare il passo al possibile dialogo con Forza Italia: «Matteo», sussurrano, «deve stare ben attento a fare accordi col Cavaliere pregiudicato, rimettendolo in pista. Il nostro popolo non glielo perdonerebbe», avvertono, facendo capire quale fuoco di sbarramento propagandistico partirebbe se Renzi uscisse dal recinto della maggioranza. Tensione, diffidenza e reciproche trappole restano tutte, insomma. Anche perché per Letta e i suoi l'obiettivo principale resta uno solo: chiudere la finestra elettorale di maggio, e quindi far slittare l'approvazione della legge elettorale alla tarda primavera. Mentre Renzi vuole averla in mano ben prima.
Renzi è entrato e uscito in silenzio dal colloquio, chiudendosi poi al partito per organizzare in una serie di colloqui le prossime serrate giornate: incontro con i senatori Pd il 14 (per spiegar loro che il Senato va abolito), segreteria il 15, direzione il 16. E poi il redde rationem sulle legge elettorale a partire dal 20 in Commissione alla Camera. Letta invece si è attivato per vendersi pubblicamente i risultati dell'incontro come viatico benefico per le magnifiche sorti del suo governo. Facendosi intervistare dalla Rai, ha assicurato che «con Renzi siamo entrambi determinati ad andare avanti», e a «costruire il contratto di coalizione» da presentare in parlamento entro il mese. «Sappiamo che applicarsi è la nostra priorità, abbiamo il ruolo e la determinazione per farlo», giura il premier. Sulla legge elettorale bisogna però «partire dalla maggioranza».
Quanto al rimpasto, «di qui al 20 gennaio parleremo di tutto», anche di questo. E Letta e Franceschini vorrebbero offrire ai renziani portafogli appetibili (Lavoro, Sviluppo economico, Coesione territoriale) per blindare il sindaco dentro il governo. Difficile però che lui ci caschi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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