Renzi non vuol pagare i debiti: così le imprese restano a secco

Bugie di Stato: il premier sceglie di saldare in ritardo i debiti con le imprese. E scatta la multa da 800 milioni

Renzi non vuol pagare i debiti: così le imprese restano a secco

I ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione ai privati non sono un cattivo ricordo del passato, un capitolo che si chiude con la restituzione (se mai sarà completata) dei 90 miliardi di rosso accumulato. Perché, secondo il governo italiano, anche per il futuro, lo Stato non ha nessun obbligo di pagare le fatture entro i 30 o 60 giorni previsti dalla legge. Al massimo, c'è l'obbligo di pagare la mora dell'8%. Come dire: noi amministrazioni pubbliche non vogliamo vincolarci a saldare i debiti con i privati entro i termini, al massimo, paghiamo la multa. Che poi finisce nel conto delle finanze pubbliche, con prevedibili effetti negativi per i contribuenti.

La vicenda dei debiti Pa sembra non finire mai. La Commissione europea si era fatta promotrice, con l'iniziativa del vicepresidente italiano Antonio Tajani, dell'operazione per restituire ai privati il dovuto. E anche ieri il commissario all'Industria, con i presidente dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici Sergio Santoro, ha fatto pressione affinché il governo Renzi adotti un decreto, invece del disegno di legge, per restituire almeno i 90 miliardi che l'esecutivo europeo ci permette di fare emergere come debito pubblico. Ancora prima era stata adottata la direttiva Ue che stabilisce il limite massimo di un mese per i pagamenti, pubblici e privati. Ma le cattive pratiche della Pa non si sono interrotte.
Le associazioni delle imprese continuano a denunciare incassi che arrivano dopo 170-210 giorni, con effetti facilmente immaginabili: aziende in crisi di liquidità e un pezzo di contabilità pubblica fuori controllo. L'esecutivo Ue ha chiesto conto all'Italia del perdurare dei ritardi. Nella risposta arrivata da Roma, giocata tutta in difesa, c'è un'argomentazione che colpisce più delle altre.
Il ministero dell'Economia sostiene che la direttiva sui pagamenti «non stabilisce nessun obbligo degli Stati membri di assicurare che i pagamenti intervengano in tempi stabiliti». Semmai «stabilisce esclusivamente l'obbligo di assicurare che, una volta scaduti quei termini, al creditore spettino, senza la necessità di costituzione in mora, gli interessi» e «le altre penalità» previste dalla legge (l'8% di mora più il tasso di interesse Bce). In sintesi: l'Italia pagherà la multa, ma non pensa ci sia un obbligo di non commettere l'infrazione.

Non si tratta di un cavillo tirato fuori esclusivamente da via XX settembre, perché lo stesso argomento si ritrova nella risposta che la presidenza del Consiglio ha inviato a Bruxelles: «L'unico obbligo previsto dalla direttiva è quello di assicurare al creditore gli interessi». Aspettino pure e incassino la mora, insomma. Tanto pagano i contribuenti.
La risposta direzione per l'impresa della Commissione non si è fatta attendere. L'interpretazione un po' troppo elastica della direttiva sui pagamenti, «non è assolutamente condivisa». L'obbligo di pagare entro un mese, massimo due, c'è e il governo deve rispondere entro questa settimana.

Un fronte che si aggiunge a quello, sempre aperto da Tajani, affinché il governo adotti un decreto per smaltire lo stock del debito.

Ieri il commissario e il presidente dell'Autorità sui contratti hanno definito «indispensabile» un provvedimento d'urgenza e anche una riforma del bilancio che superi la divisione tra competenza e cassa. Un contributo alla trasparenza, che non tutti gradiscono.

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