Renzi prova a fare il furbetto «Voglio i voti dei delusi Pdl» E ruba al Cav tecniche e idee

nostro inviato a Verona

Non si sa se prenderla come una battuta o una minaccia. «Non ho paura di chiedere i voti del centrodestra», esclama Matteo Renzi, l'enfant prodige della sinistra italiana che ieri ha ufficializzato la corsa alle primarie del Partito democratico e in realtà si sente già in campagna elettorale per il dopo-Monti. «Non abbiamo paura di venire a stanarvi nelle vostre delusioni», incalza. Il rastrellamento di voti a destra è lo specchio delle difficoltà a sinistra. «Vi hanno promesso il federalismo, la rivoluzione liberale, meno tasse, un milione di posti di lavoro, e vi trovate tassati e disoccupati. Vogliamo venire a prendervi».
E l'accalappiavoti è lui, il sindaco democratico di Firenze, un piccolo Veltroni e un piccolissimo Obama, senza giacca ma incravattato, maniche della camicia bianca arrotolate, lingua sciolta e tagliente. Da Silvio Berlusconi cerca di prendere, oltre che i voti, anche le tecniche di comunicazione: il pulpito solitario in un ambiente (l'auditorium della Gran Guardia di Verona) allestito come una convention, i consigli di un ex produttore Mediaset (Giorgio Gori, sorridente nelle prime file), il bagno di folla. Tutto l'opposto della monotonia di Pier Luigi Bersani, «grigio» lo dipinge Renzi come la foto di Vasto di cui è peggio soltanto la foto del Palazzaccio, quella con i leader della sinistra radicale che firmano il referendum sull'articolo 18: «Hanno fatto cadere due volte Prodi e si candidano a non governare mai».
Di sostanza renziana ce n'è pochina. Il programma sono tre parole d'ordine: Europa, futuro, merito. Slogan, più che punti precisi; capitoli di un libro tutto da scrivere: «Il dettaglio andate a leggerlo su internet, è una bozza di 40 pagine non definitiva, aperta a idee e contributi». Il sistema fiscale deve cambiare sul modello americano: non torchiare chi già paga ma scovare chi è sconosciuto all'erario. La disoccupazione si sconfigge riducendo la pletora legislativa a «50-60 articoli facilmente traducibili in inglese che dicano con chiarezza che cosa un'azienda può fare e che cosa no».
La scommessa di Renzi contro Bersani ha un solo elemento chiave, quello generazionale. Il suo comizio è preceduto da un video che accavalla a velocità crescente foto simbolo degli ultimi 25 anni: Gorbaciov, Reagan, la Thatcher, i primi computer Apple, i papi, Michael Jackson e ovviamente Obama e consorte. «Sono cambiati il mondo, la storia e la geografia ma non i capi del mio partito che devono dare un servizio al Paese - chiosa lui -. Ma noi non dobbiamo presentarci con la giustificazione. Siamo sindaci, amministratori, gente abituata a dare del tu al dolore della gente. Ci facciamo valutare per quello che facciamo, non per quello di cui abbiamo parlato negli ultimi 25 anni».
Il partito di Renzi «gioca all'attacco, non fa catenaccio» e parte da Verona e dal Veneto, terra ostica per la sinistra, per dare la misura della sfida in campo aperto. L'accoglienza è tiepida e a scaldarla provvede una claque di tre pullman giunti dalla Toscana. «Vogliamo condividere un destino, allargare il respiro, restituire speranza, ridare orgoglio»: ecco lo scopo del rottamatore, a metà tra l'intimismo veltroniano e le formule delle adunate americane. Renzi esalta la fierezza di chi non si tira indietro («meglio sbagliare un rigore che restare in panchina») e «l'ambizione di cambiare il destino dei nostri figli». Fiducia, autostima, coraggio, libertà, desiderio: parole che ricorrono di continuo per contrastare l'attuale dirigenza del Pd «chiusa in un recinto» e la vecchia classe politica assistenzialista (Ilva, Alcoa, Sulcis) e «senza spina dorsale».
Lo slogan, «Adesso!», ha fatto la sfortuna di Dario Franceschini, e infatti Renzi mette già in conto la sconfitta: «Se perdo darò una mano a Bersani». Per il quale già tifa Renzi jr, Francesco, 11 anni, che vorrebbe il papà di più a casa. Già, i figli: il piccolo Obama li cita di continuo. Accenni di normalità, di serenità.

Renzi, un italiano come tanti. Che lascia il camper in doppia fila a Pontassieve e in zona pedonale a Verona, sotto le finestre del sindaco Flavio Tosi. Ma per lui nessuna multa: quelle vengono appioppate a chi è meno normale di Matteo Renzi.

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