Renzi sale al Quirinale e chiede elezioni a ottobre

Faccia a faccia con Napolitano (e senza Letta) in serata. Il leader del Pd rompe gli indugi: sì al rimpastino, ma solo se poi si va al voto

Renzi sale al Quirinale e chiede elezioni a ottobre

Alla fine al Colle, prima di Enrico Letta, è salito Matteo Renzi. Un faccia a faccia a cena col presidente Napolitano, per fare il punto su una situazione sempre più precaria e aggrovigliata. Era girata la voce che il capo dello Stato volesse entrambi i duellanti al Quirinale, per decidere una volta per tutte le sorti del braccio di ferro che li oppone da settimane. Ma Letta, a sentire i suoi, tiene duro e non molla, di staffetta non vuole sentir parlare e di dimissioni men che meno, e «il presidente è d'accordo con lui: serve un governo stabile che affronti la crisi e un Renzi fuori che lo sostenga svolgendo la sua utilissima opera di acceleratore delle riforme». Un ruolo che rischierebbe di perdere se venisse catapultato al vertice dell'esecutivo.
Quanto al sindaco di Firenze, prende atto dell'asse Napolitano-Letta pro «stabilità», e ai suoi prima di salire al Colle dice: «Letta vuole andare avanti facendo un rimpastino e presentando finalmente qualche punto di programma per i prossimi mesi? Benissimo, lo faccia e noi lo sosterremo. Ma deve essere chiaro, nero su bianco, che per noi lo schema dei 18 mesi non cambia». Traduzione: visto che degli originari 18 mesi ne son passati (con pochi risultati, a suo giudizio) dieci, tra otto mesi si deve tirare la linea. Con elezioni ad ottobre. Garantite dal Colle, in cambio della «stabilità» assicurata dal Pd.
Prima ancora che si sapesse della convocazione serale al Quirinale, investito dalla tempesta dello "scoop" di Alan Friedman sulle origini del governo Monti (con Renzi che assicurava «piena solidarietà» al Presidente), e mentre nei palazzi romani si susseguivano e si intrecciavano voci di ogni genere, era apparso chiaro che l'atteso incontro tra il premier e il presidente per decidere il rilancio del governo stava slittando. Slittava anche l'assemblea dei deputati Pd con Renzi sulla legge elettorale che oggi arriva in aula, e sulla quale la minoranza Pd insiste per ottenere modifiche: rimandata a stamattina. Mentre si parla di anticipare la Direzione del Pd del 20 febbraio al prossimo giovedì: segno che il tempo delle scelte deve essere anticipato. Nel tardo pomeriggio tra Pd e alleati di maggioranza rimbalzano voci di prossime dimissioni di Letta, la confusione aumenta e la tensione si alza. I renziani del Pd che da tempo tifano per la staffetta di palazzo Chigi sono chiusi in un impenetrabile silenzio, si limitano a dire che «siamo alla stretta finale, sono ore decisive». E ad assicurare, come fa Matteo Richetti, che «Non ci sarà mai il giorno in cui il Pd e i suoi parlamentari sfiduceranno Letta». Pur ammettendo che «un governo Renzi potrebbe dare al Parlamento un impulso al cambiamento».
Proprio ieri mattina uno dei renziani pro-staffetta, Lorenzo Guerini (che ha il ruolo di peso di portavoce della segreteria) aveva teorizzato in un'intervista la necessità di un governo Renzi: «Ciò che ieri sembrava impensabile o molto difficile potrebbe diventare necessario, è un dovere cui la politica non può sfuggire verificare le possibilità di un governo di legislatura». Un governo Renzi, naturalmente. Un'intervista di questo peso difficilmente avrebbe potuto essere data senza l'autorizzazione del segretario del Pd. Segno palese che Renzi continua a tenersi aperte entrambe le strade, e che l'ipotesi staffetta non lo spaventa, anche se si rende perfettamente conto del rischio che si trasformi in una trappola in grado di bruciarlo.

Anche perchè il pressing più forte in questo senso gli arriva proprio dall'ala del partito che lo contrasta, e che caldeggia una serie di emendamenti all'Italicum che hanno un solo obiettivo: rimandarne più in là possibile l'entrata in vigore per assicurarsi la durata della legislatura. Possibilmente con Renzi al governo anzichè al partito.

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