Una giornata, l'ultima, lontano da Roma. Solo ieri nel tardo pomeriggio Matteo Renzi si è messo in viaggio per la capitale, dove stamattina alle 10.30 salirà al Colle per ricevere l'incarico di formare il governo.
Al telefono con i suoi, durante la domenica (tra una messa con la famiglia e un tête-à-tête con Diego Della Valle, per parlare - assicurano - del nuovo stadio per Firenze) ha continuato a seguire il lavorio dei suoi, coordinati da Graziano Del Rio e Lorenzo Guerini, sulla squadra di governo e sulle alleanze. Due i problemi ancora aperti sul tavolo del futuro premier: il ministero dell'Economia, la poltrona di maggior peso dell'esecutivo, e il rapporto con il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che ha chiesto a Giorgio Napolitano di allungare i tempi della crisi, invocando un improbabile «patto alla tedesca» che Renzi non ha alcuna intenzione di avallare, per riuscire a portare a casa qualche garanzia. Non solo sulle poltrone ministeriali (ne avevano cinque, ne reclamano almeno tre nel nuovo gabinetto, dove vorrebbero tenersi Interno e Infrastrutture), ma ancor di più sul futuro: gli alfaniani temono come la peste la «doppia maggioranza» (quella di governo, con Ncd in posizione subalterna, e quella sulle riforme, con Berlusconi e Renzi che menano le danze), e si sono impuntati sull'Italicum da cambiare «profondamente», soprattutto limando quelle soglie che li consegnerebbero a mani legate al Cavaliere. Se non otterranno rassicurazioni, minacciano di far saltare tutto provocando il voto anticipato con la legge proporzionale uscita dalla Consulta: «Tanto dobbiamo comunque andare alle Europee, dove la soglia del 4% già c'è». In casa renziana fanno spallucce davanti al pressing: «Armi spuntate», assicurano. L'orrido Consultellum, infatti, non ha abrogato le soglie di sbarramento del Porcellum: 4% alla Camera e - soprattutto - 8% regionale al Senato. A meno che l'Ncd non si coalizzi con Forza Italia, dimezzando le soglie. «Ma visto che il premio di coalizione è stato abolito - fa notare il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex parlamentare Pd e saggio della commissione per le riforme - i grandi partiti non avrebbero alcun interesse a coalizzarsi, e lascerebbero a piedi tutti i partitini. Questa cosa la sa Alfano, e la sa anche Renzi». E sarebbe la ragione per cui il premier in pectore ostenta sicurezza e assicura: «Non hanno altra scelta, non possono far saltare il governo».
Per tutta la giornata di ieri è rimbalzata la voce di un incontro faccia a faccia tra i due, Renzi e Alfano, riacutizzata quando si è saputo che il sindaco di Firenze era salito sulla sua auto a Pontassieve diretto verso Roma. Incontro chiesto da Ncd, ma per tutto il giorno negato dall'entourage renziano, che precisava: «Certo che ci sarà, ma solo dopo l'incarico da parte del Quirinale».
Alle 16.30 Napolitano ha fatto sapere ufficialmente che l'appuntamento con l'incaricato in pectore era fissato per stamane. Sarà anche l'occasione per un giro di orizzonte sulla composizione del governo, e soprattutto su alcune poltrone chiave. A cominciare appunto da quella dell'Economia, per la quale - assicurano i renziani - si punta ad un «nome politico forte», per superare la fase dei tecnici.
E il tam tam dei palazzi romani ieri sera parlava di un forte pressing sul premier dimissionario, Enrico Letta. Lo vuole nel governo Napolitano, per sanare la ferita aperta con la crisi; lo vedrebbe di buon occhio Mario Draghi dal vertice della Bce. Il pressing, a ieri sera, non aveva però ancora dato risultati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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