Politica

Renzi sbaglia la prima mossa e Grillo lo mette al tappeto

Il segretario lancia la sfida: "Fai con noi le riforme e restituiamo i rimborsi". Ma il leader M5S lo umilia: "Caccia tutta la grana e andiamo a votare"

Renzi sbaglia la prima mossa e Grillo lo mette al tappeto

In quattro e quattr'otto Matteo Renzi ha cercato e ottenuto il primo «vaffa» da segretario Pd. Ha sfidato Beppe Grillo, ha tentato di scendere sul suo terreno come aveva fatto Pier Luigi Bersani quando rimediò una figuraccia sottoponendosi alle forche caudine del faccia faccia in diretta streaming. Questo il guanto lanciato dal rottamatore ieri davanti all'assemblea nazionale del partito: «Te lo dico io, Beppe Grillo, firma qua. Hai 160 parlamentari decisivi per fare le cose su cui 8 milioni di italiani ti hanno votato. Via il Senato, tagli alle regioni, nuova legge elettorale: tu appoggi il nostro programma e noi restituiamo subito i rimborsi elettorali. Il Paese aspetta le riforme. Se ci stai, si fa. Se non ci stai, sei un chiacchierone. L'espressione “buffone” vale per te».
Su queste parole Renzi ha incassato l'applauso più fragoroso dei mille delegati Pd. Era questa la «sorpresina» annunciata alla vigilia. Non un tentativo di compaginare una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo di Enrico Letta, ma una sfida, un corpo a corpo con l'ex comico. Il quale in serata ha replicato esibendo tutta la sua eleganza: «Renzie aveva annunciato una “sorpresina”. C'è stata invece solo una scoreggina», ha scritto sul blog. «Caccia la grana, Renzie, e cacciala tutta, non solo la seconda rata, anche la prima». Ma Grillo sbatte la porta in faccia a Renzi anche sulla legge elettorale: «Si sciolga questo Parlamento delegittimato e si voti con il Mattarellum. Sarà il prossimo Parlamento a fare la nuova legge elettorale».
Esordio con umiliazione all'assemblea nazionale Pd, non male per l'uomo nuovo della politica italiana che si carica sulle spalle nientemeno che il futuro stesso del Paese: «O salviamo l'Italia o la condanniamo noi», ha esclamato. È un Renzi ondivago, il quale ha abiurato a metà l'etichetta di «rottamatore» che si era cucito addosso l'anno scorso e ha abbracciato quella sinistra che si era proposto di superare. Anche se cita la Moncler e sceglie i Negrita come colonna sonora dell'incoronazione a segretario, anche se dice che «la Cgil è quanto di più lontano da certe mie convinzioni», il leader democratico fa l'elogio della ribellione e propone un programma di sinistra: sussidio universale per tutti i disoccupati, modifica della Bossi-Fini con introduzione dello ius soli per gli immigrati (cittadinanza italiana per chi nasce nei nostri confini), apertura alle unioni civili e alle coppie gay (civil partnership, la chiama lui) su cui «non possiamo fare finta di niente anche se non piace a Giovanardi».
Tutto ciò diventerà una bomba a orologeria sotto la sedia di Enrico Letta. Perché Renzi vuole trasformare il suo programma in punti di governo irrinunciabili, un «patto di coalizione» sancito da un «accordo alla tedesca, voce per voce, punto per punto, con tempi stabiliti per i prossimi 12-15 mesi».
Queste sono le priorità. E la legge elettorale? I tagli ai costi della politica? Renzi li liquida come «tecnicismi utili», «buoni esempi», che non fanno risparmiare grandi somme. Dal sindaco di Firenze non arrivano ricette, soltanto l'indicazione di un sistema che difenda il bipolarismo perché «le larghe intese sono un'eccezione». «Diamo la massima disponibilità a tutte le forze politiche per trovare le soluzioni. Ma entro gennaio o la Camera approva una riforma oppure la politica perde la faccia». Se Renzi si illudeva di approvare la legge con i voti di Grillo, la faccia l'ha già persa lui.
Un nemico è comunque individuato: la stampa. Avversario condiviso con Enrico Letta, che nel suo saluto all'assemblea Pd si è lagnato di come viene raccontata l'azione del governo aggiungendo: «Dai giornali devono sparire i retroscena dei rapporti tra me e Matteo, perché tutto dev'essere trasparente». Renzi rincara: è vergognoso che il fondo per l'editoria (che in realtà è un ammortizzatore sociale) sia sei volte il fondo per la famiglia. «Le banche devono uscire dall'editoria e dai luoghi dove hanno cercato di governare il Paese». È un attacco a tutti i giornali tranne uno, Repubblica, che sta dalla parte di Renzi. E conta sui soldi versati da

html">Silvio Berlusconi al gruppo che fa capo a Carlo De Benedetti.

Commenti