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Renzi sospende la rottamazione E i veltroniani vanno con Bersani

Roma«La fase uno della rottamazione è finita», annuncia Matteo Renzi, rendendo onore alla «scelta nobile» di Massimo D'Alema: «Ora che ha deciso di non ricandidarsi per le prossime elezioni in Parlamento, da parte mia non ci si sarà più mezza parola sull'argomento».
Magari gli sarà dura resistere alla tentazione di lanciare qualche frecciatina a Rosy Bindi, decisa a resistere ma sempre più in difficoltà, ma il sindaco di Firenze ha capito che - dopo la mossa dei due dioscuri ex Ds, Veltroni e D'Alema - insistere sul tema rischiava di diventare controproducente. Meglio incassare con stile e guardare oltre: ora quindi, dice, si deve parlare di «programmi». Il suo «Manifesto politico» esce oggi con bell'evidenza su Il, il mensile del Sole 24 Ore, e c'è da scommettere che l'endorsement da parte del giornale di Confindustria darà la stura a nuove polemiche contro Renzi, come quelle feroci scatenate dalla cena milanese con i big della finanza, che pure a Bersani non è andata giù: «Consiglio cautela nel prendere per buone le ricette rimasticate dei centri della finanza internazionale».
La guerra ormai è dichiarata, e entrambi i contendenti delle primarie giocano per vincere, usando tutte le armi. Bersani cerca di accreditarsi come leader internazionale, pronto a sedersi al tavolo dei governanti europei. Domani sarà a Ginevra, tra Cern e Wto, e poi busserà alle porte dell'Eliseo per confermare il feeling con Hollande. A novembre incontrerà il leader dell'Spd Sigmar Gabriel. Il tentativo è quello di convincere i partner europei che la coalizione da lui guidata è in grado di gestire l'Italia sostituendo Monti.
Intanto, in patria, blinda il partito attorno a sé: ieri un gruppo di 22 parlamentari veltroniani (da Minniti alla Melandri, neo presidente del Maxxi, da Verini a Morassut) si sono schierati col segretario, prendendo le distanze da chi tra loro ha manifestato simpatia per Renzi, come Ichino e Vassallo. I sondaggi danno un gap oscillante ma molto ristretto tra i due, il vantaggio post-assemblea di Bersani si è rapidamente riassorbito. Su una cosa i ricercatori sono unanimi: più si allarga la platea delle primarie, più salgono le chance dell'outsider. Per questo i bersaniani vogliono a tutti costi «blindare» la platea e non consentire a chi non si è registrato prima del 25 novembre di votare al ballottaggio, a meno che - si legge nella surreale bozza di regolamento - l'elettore non sappia «dimostrare l'impossibilità» che lo ha costretto a non votare al primo turno. Ieri al tavolo delle regole (da cui Renzi è escluso) c'è stato un durissimo scontro tra Nico Stumpo, plenipotenziario bersaniano, e Francesco Forgione di Sel: le urla di quest'ultimo («Così il vostro regolamento è inaccettabile, non ve lo voteremo mai») si sentivano fino al piano di sotto.

Ma i bersaniani non mollano, convinti che quel congegno sia la clausola-salvezza per il segretario, perché chi ha votato Vendola al primo turno se torna a votare sceglierà Bersani, mentre se si aprisse al voto di opinione esterno sarebbe Renzi ad avvantaggiarsi.

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