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Anche la matematica smentisce Letta

Il premier si vanta: le abbiamo abbassate, ma tutti i dati lo smentiscono. Con la sua legge di stabilità le imposte sono cresciute. Unica eccezione: l'Imu sulla prima casa. Ma è merito di Forza Italia

Anche la matematica smentisce Letta

L'affermazione del premier Enrico Letta per cui in Italia la pressione fiscale nel 2013 è diminuita è errata, dal punto di vista aritmetico e contabile, e contrasta con la realtà a cui ciascuna famiglia, quest'anno, si trova di fronte. In primo luogo l'aritmetica, cioè la matematica, non è un'opinione. La legge di stabilità ha corretto, con la sua manovra, il quadro dei conti redatto a settembre, riguardante le spese e le entrate pubbliche previste per il 2013 per la somma di tutti i governi, denominato «governo generale». Le spese previste per il 2013 aumentavano dello 0,8% in confronto al 2012, le entrate del 2013 aumentavano dello 0,7 sul 2012. La pressione fiscale non si misura in cifre assolute, ma in rapporto al Pil, il Prodotto nazionale, che è la somma di quelli dei singoli soggetti che operano nel Paese.

Quando il Pil aumenta può accadere che l'aumento in euro delle entrate si traduca in una diminuzione della pressione fiscale perché la loro percentuale di crescita è minore di quella del Pil. Ma nel 2013 il Pil è diminuito rispetto al 2012, sicché la pressione fiscale è passata dal 48,08%, cifra già spaventosa, al 48,68%. La legge di stabilità ha previsto una manovra correttiva per portare il deficit del 2013 al 2,9% del Pil anziché al 3,1 della previsione di settembre. Il governo alla Camera ha presentato un aumento di entrate di 1 miliardo e una riduzione di spese di 2. Con gli emendamenti della Camera le entrate sono aumentate di 2 miliardi e le spese sono diminuite di 3. Dunque le entrate sono ancora aumentate. E poiché il Pil probabilmente è andato peggio che nelle stime di settembre la pressione fiscale del 2013 risulta aumentata di almeno 0,6-0,7 punti rispetto a quella già alta del 2012.

Adesso dobbiamo fare un secondo calcolo, che non riguarda il gettito fiscale in rapporto al Pil, cioè la pressione tributaria come si presenta per le casse dello Stato, ma la pressione fiscale come si presenta al contribuente in termini di aliquote effettive, rispetto alla base imponibile, che non è fissa, ma varia da un anno all'altro, per vari fattori, fra cui il fardello fiscale. Se questo viene elevato in termini di aliquote effettive, le basi imponibili si possono ridurre di una percentuale nulla, minore, pari o superiore a quella dell'aumento di aliquote.

Antichi scrittori di finanza pubblica, come il gesuita piemontese Giovanni Botero, autore de La ragion di Stato, del 1589, avevano sostenuto che l'aumento delle imposte avrebbe indotto a lavorare di più per ricostituire il reddito tassato e quindi ne avevano tratto la teoria per cui l'aumento di aliquote può causare un aumento di gettito più che proporzionale, perché può generare un aumento degli imponibili. Ma al tempo del presidente Reagan, il suo economista Arthur Laffer aveva fatto notare che c'è un punto oltre il quale l'aumento di aliquote fa scendere il gettito perché fa rallentare l'economia.

Ora, proprio questo è accaduto nel 2012 e nel 2013 a causa degli eccessi di aumenti di aliquote nel settore degli immobili, dell'Iva, delle rendite finanziare e in altri ambiti e modi.

Se il gettito è aumentato e il Pil è diminuito, ciò vuol dire che le somme pagate dai contribuenti sono aumentate mentre i loro redditi, fatturati, valori patrimoniali sono scesi. E ciò implica che devono essere aumentate le aliquote. La matematica non è un'opinione.

E se il gettito è pari all'aliquota moltiplicata per l'imponibile, nella contabilità del contribuente, quando la somma da pagare al fisco aumenta benché sia diminuito l'imponibile, deve essere aumentata l'aliquota globale a carico dei vari imponibili, cioè l'aliquota fiscale del contribuente rapportata al suo reddito, ossia la sua pressione fiscale sul reddito conseguito nell'anno.

Letta, dunque, sbaglia doppiamente, sia per la pressione fiscale dal punto vista dall'erario sia per quella dal punto di vista del contribuente.

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