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Resa dei conti in piazza: "Adesso calci nel sedere"

I lumbard rendono l’onore delle armi a Bossi, ma invocano il cambiamento: "Con lui non potremmo voltare pagina". Leggi le testimonianze raccolte dal nostro inviato

Resa dei conti in piazza: "Adesso calci nel sedere"

Tutti applaudono l’astro nascente, ma sullo sfondo c’è lo spettacolo malinconico e crepuscolare di un sole calante. È il chiaro inizio di Maroni, ma è soprattutto la penosa fine di Bossi. La sua gente gli usa l’ultima carineria di una gigantografia dietro al palco, lo striscione «Grazie Umberto», qualche coro stracolmo di nostalgia, più questa idea stiracchiata del grande capo tradito per motivi di salute, nell’autunno della sua vita. Un salvacondotto verso la memoria, niente di più. Un ruolo da santo protettore, niente di meglio. «Gli saremo sempre grati per aver fondato la Lega - dice Severino, 37 anni, segretario a Sellero, in Valcamonica - ma adesso è l’ora del cambiamento. Siamo qui perché finalmente si cambia: bisogna assestare qualche calcio nel didietro». Poco più in là, un’altra generazione: Massimo, milanese, ha 55 anni e fa l’imprenditore. Sul davanti della maglietta reca scritti tre nomi: Maroni, Zaia, Tosi. E Bossi? Sulla schiena, con la dicitura «presidente onorario». Il massimo che Massimo concede all’ex capo. Le parole sono pure peggio: «Noi abbiamo bisogno di voltare pagina, ma lui non può. Non può certo rinnegare la sua famiglia...».

La famiglia, il cerchio magico. Sono tutti fisicamente assenti, i veri bersagli della nuova rabbia leghista. Ma sbucano idealmente da tutte le fessure. Sinceramente, non vorrei essere nei panni di Rosi Mauro. Piuttosto Rosi Bindi, ma Rosi Mauro mai. La platea le dedica un colossale e assordante «Chi non salta Rosi Mauro è». Saltano tutti, anche ottantenni e stampellati. Si leggono striscioni vendicativi: «Il cerchio è stato inquadrato, il gioco è terminato: game over». All’amica intima del Trota (subissato di insulti), la bresciana assessora regionale Monica Rizzi, lo sfregio supremo: un cartellone della Valcamonica lascia leggibile solo Valca. Monica è cancellatissimo.

Questo il clima. Gente con le scope, «È ora di pulire il pollaio» (già tradotto dal bergamasco, per capirci anche in Italia). Slogan freschi freschi a favore di telecamere: «Né Trote né badanti, solo veri militanti». Si respira nell’aria il furore delle Pontide migliori, quelle euforiche e positive, stavolta girato in rabbia e sete di sangue. È il clima da resa dei conti che evidentemente macerava da molto prima di Belsito, della Tanzania, del Trota e di tutto quanto il resto. Con un effetto sempre molto triste: dopo tanti anni di corsa per entrare nel cerchio magico, adesso è un fuggi fuggi per starne fuori.

Visto da qui, sembra che il bossismo fosse una specie di bocciofila domestica gestita tra quattro sciagurati. Sembra che lo stesso Bossi fosse un inguaribile solitario che nessuno conosceva. È la solita, penosa, impietosa fuga, prima che il gallo canti.

No, nonostante qualche coro di sostegno degli iperfedelissimi quando faticosamente parla, non c’è più Bossi nel domani di Padania. Anche se non è l’adunata oceanica annunciata, l’assemblea dell’orgoglio lo dice chiaro e tondo incoronando il Bobo. Per uno che negli anni Novanta, al Palasharp, da questo stesso popolo si vide arrivare un vaso di gerani a due dita delle orecchie è un bel progredire. Col suo insediamento per acclamazione, cala inesorabilmente la saracinesca sulla Lega del Mito. La Lega che al Capo obbedisce senza discutere. La Lega dell’idolatria e della venerazione. La Lega in canottiera. La Lega di pancia.

Causa di forza maggiore, apre in fretta e furia lo sportello della nuova Lega. La Lega che chiede pulizia, democrazia interna, che sogna il ritorno ai tempi soavi delle Pontide dure e pure. Previo regolamento di conti, sbrigativamente espletato a Bergamo, comincia così il secondo tempo. Ci provano con Maroni. I boati che lo lanciano sono inequivocabili. In teoria, si passa da una Lega di pancia a una Lega più pensante. Per una Lega così, servono tolleranza, studio, capacità d’ascolto, persino d’autocritica. Meno salsicciate, più ragionamenti. Tutte cose che il Capo non ha mai insegnato. Lui aveva abituato tutti ai randelli, alle baionette, al dito medio. Ma per salvare il salvabile, ora, deve nascere qualcosa di diverso, oltre ai nomi e alle facce. Non è certo che la nuova Lega sappia farlo.

È ancora meno certo che voglia farlo.

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