Il retroscena

A differenza del bel Gastone («A me m’ha rovinato la guerra»), Ezio Mauro è stato salvato dalla crisi. Non quella internazionale, ma quella più modesta e alla sua portata in cui versa appunto la Repubblica che dirige. È dall’anno scorso infatti, che vorrebbero sostituirlo. Carlo De Benedetti, nonostante le grandi dichiarazioni d’amore, s’era messo a cercare in giro un nuovo direttore. In realtà i due si amano come Cesare e Cassio, ma l’ingegnere era ormai determinato al «rinnovamento» come suol dirsi, stanco della linea impressa da Mauro al quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Il nume e sommo pontefice è da tempo estraneo alle scelte editoriali, relegato e pago di stendere articolesse chilometriche ad istruzione delle masse popolari.
Dunque il dado era tratto, Repubblica avrebbe avuto un nuovo direttore. Lo stesso Mauro infine, se n’era fatta una ragione, prendendo a sponsorizzare, per lasciare un suo imprinting, il giovane Mario Calabresi (che ora dirige la Stampa della Fiat). De Benedetti però, voleva come direttore Federico Rampini. Ad ogni buon conto, Mauro s’era messo a cercar casa a Boston, come Veltroni a Manhattan. L’aveva quasi trovata, avrebbe fatto il commentatore per Repubblica dalla città dei Kennedy, come un wasp.
Invece il giornale è andato precipitevolissimevolmente in crisi: ambizioni di grandezza - ricordate la rana e il bue di Esopo? - e scelte sbagliate. Adesso bisogna tagliare, licenziare, prepensionare, guai a parlare di investimenti: dove lo trovi un nome prestigioso che venga a fare il macellaio? Così Mauro è rimasto al suo posto, per «gestire la crisi», come suol dirsi. Chissà quale bel pezzo avrebbe scritto da Boston sui funerali dell’ultimo Kennedy. Ma trovandosi nei panni di un direttore dimezzato, si consola riscoprendosi inviato; e invece di vergar fondi e corsivi come si conviene ad un direttore, parte ogni tanto per raccontare storie commoventi di clandestini, ustionati, immondezzai napoletani.
L’ultimo fallimento è stato R2, l’inserto che doveva splendere di grandi inchieste, ed è arenato su temi assai meno fulgidi come «non ci sono più le mezze stagioni», il «parmigiano custodito nei caveau», i «cimiteri per gatti e cani». Come Luther King, anche Mauro aveva un sogno: fare di Repubblica il quotidiano leader, superando in tutto il Corrierone. Che l’hanno scorso però, ha perso l’8% di vendite, mentre Repubblica ha perso il 14%, conquistando così il record in velocità e in numeri nella corsa al prepensionamento dei giornalisti. De Benedetti e Mauro ne hanno chiesti e ottenuti 84, contro i 40 del Corriere. Devono andarsene tutti i giornalisti che han compiuto 58 anni, grandi firme, ufficiali di macchina e professioni attrezzati. Le firme come D’Avanzo avranno un contratto di collaborazione, gli altri ciccia. E la guerra contro il Cavaliere nero, Mauro dovrà farla con un battaglione di balilla. A Repubblica si respira aria pesante, quella dell’8 settembre. «Il direttore fa finta di niente, come se avesse in serbo l’arma segreta», sorride amaro un cronista.
Con le escort avevano guadagnato qualche migliaio di copie, ma ora la spinta propulsiva d’avanzo s’è esaurita. Par che abbiano ancora colpi in serbo contro il premier, ma a tali storie di pelo la gente s’è ormai assuefatta, e non compra più. Nel frattempo, Mauro deve digerire la conversione da Franceschini a Bersani. Perché questo cambio di linea? Perché Bersani è dato sempre più vincente nella corsa alla segreteria del Pd, ed è pure amico di De Benedetti: quando era ministro ha passato le vacanze nei mari del Nord su una nave dell’Ingegnere, una sorta di corazzata Potemkin.
Quanto durerà il tramonto? Il tempo di voltar pagina, «liberarsi delle scorie» come suol dirsi. Ma Repubblica non sarà mai più la «cabina di regia» che dettava la linea al centrosinistra. E Mauro se ne andrà con la frustrazione che se Scalfari è riuscito a mandare Craxi ad Hammamet, lui ha fallito contro Berlusconi.

In redazione, da quando sono comparse le foto di Gad Lerner in vacanza con l’Ingegnere, in molti assicurano che «l’infedele fedele» sta studiando da direttore. Di Repubblica ovviamente, mica dell’Espresso. Anche perché Rampini, che De Benedetti continua a preferire, sta bene come sta, anche economicamente, e non ne vuol sapere di accollarsi un giornale impoverito.

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