Milano Forse è venuto il momento di chiedersi perché la Procura di Milano non ha mai indagato sui report del presunto tesoro allestero dei Ds. Perché ha immediatamente rubricato la pratica scottante a «fatti non costituenti reato» lasciandola dormire in un cassetto sei mesi, per toglierla dal letargo solo con lentrata in vigore della legge Mastella che imponeva la distruzione dei dossier raccolti illegalmente. Perché non sè mossa dufficio per accertare se fosse vera o fasulla quella montagna dinvestigazioni finanziarie svolte in ogni angolo del pianeta (bonifici bancari, saldi, telex, corrispondenze riservate, numeri di conti correnti). E soprattutto occorre domandarsi perché, durante gli interrogatori, i pm si sono raccomandati con gli indagati di non pronunciare i nomi dei politici coinvolti (che in realtà, sfuggiti al controllo, comparirebbero nelle registrazioni degli interrogatori ma non nelle trascrizioni dove sarebbero stati «omissati»).
Bisogna, insomma, chiedersi perché il giudice preliminare Mariolina Passaniti che rinviò a giudizio Cipriani e soci sentì la necessità di denunciare così le gravi omissioni dei pm sul file Oak Fund: «Lautorità inquirente assai probabilmente non ne aveva percepita neppure la portata, tanto che la notizia medesima relativa alla operazione New Entry era stata separata dal procedimento principale, con iscrizione a cosiddetto modello 45, quali atti non costituenti reato, ed inviata in data 12.5.2006 al procuratore in sede per le sue determinazioni».
Il giudice fa riferimento a quanto gli imputati rivelano a verbale, e proprio dalla lettura degli interrogatori viene spontaneo porsi unultima domanda: se sulla base di un dossier non è stato ritenuto automatico aprire uninchiesta, perché non lo si è fatto nemmeno alla luce delle dichiarazioni rese da chi quel dossier lo ha commissionato (Tavaroli), assemblato (Cipriani) portato a conoscenza dei vertici di Botteghe Oscure (Marco Mancini, ex capo del controspionaggio del Sismi, amico di Tavaroli e Cipriani)?
Ecco. Partiamo proprio a qui, dallex responsabile del controspionaggio Sismi, che il 14 dicembre 2006 ai pm rivela come «nel 2003 seppe che Cipriani era in condizione di avere concretamente nomi di società allestero riconducibili a personaggi della sinistra, specificamente dei Ds. Così andai dal mio superiore, il generale Pollari, che mi invitò a parlarne con il senatore Nicola La Torre (braccio destro di DAlema, che ha negato, ndr) il quale mi disse che erano fesserie». Altro indagato, altro verbale. Giuliano Tavaroli racconta di aver ordinato gli accertamenti poi effettuati dalla struttura di Cipriani. Marco Tronchetti Provera, interrogato come testimone durante ludienza preliminare, ribadisce la linea che difende ancora oggi: «Linteresse a sapere se Oak Found, o meno, fosse qualcosa, diciamo, legato a Tizio o a Caio, per me era nullo: io avevo acquisito unazienda e gestivo unazienda, non minteressava che cosa cera dietro». Aggiunge Tronchetti: «Tavaroli mi disse che poteva avere accesso a delle carte relative a questo fondo, che faceva capo al presidente DAlema e ad altri, e gli dissi che, se cerano carte che avevano valenza dal punto di vista giudiziario, le portasse alla Procura».
Ma quale sia la genesi del dossier, chi lo abbia ordinato, è a questo punto quasi marginale. Il tema è: le notizie contenute nel dossier sono vere? E qui la situazione si fa incresciosa. Tavaroli, in una intervista a Repubblica, parlando del fondo fa i nomi di Fassino e di altri personaggi (che smentiscono) spiegando che li avrebbe voluti fare anche a verbale: «Ma il magistrato - racconta Tavaroli - mi ha detto no, non scriviamo nomi sul verbale, diciamo esponenti politici». Stesso discorso per lindagato Cipriani «incaricato da Tavaroli - racconta il detective - di scoprire se dietro Oak Fund vi fosse un partito politico». Nel bel mezzo del suo interrogatorio Cipriani chiede conto al pubblico ministero - «che in precedenza mi si era raccomandato di non fare nomi di politici» - di una carta mancante fra quelle che via via gli vengono contestate: il documento (macchiato) col nome di DAlema. Il pm replica che quel foglio non cè in atti. Cipriani insiste. «Guardate meglio». Il pm è irremovibile. Cipriani pure. Limpasse è rotto dal maresciallo dei carabinieri che esce dalla stanza dellinterrogatorio per rientrarvi di lì a poco: «Ha ragione Cipriani, il foglio cè, è questo». Cera, dunque. Ma non si è indagato per capire se fosse vero o falso, come il resto del dossier. «I pm - sbotta a giugno il detective privato, chiacchierando col Giornale - mi dicevano: lei la fa facile, le basta una fotocopia, a noi invece servono rogatorie, timbri, ufficialità, le Cayman non risponderanno mai». Al che Cipriani avrebbe risposto: «Guardate che questa storia dei Ds e dellOak fund mica si svolge tutta alle Cayman. Ci sono personaggi che sono qui, in Italia. Ce nè uno, in particolare, ha presente il Compagno G di Mani Pulite? Ecco, è un altro come lui.
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