Ricatti e aut aut: Bersani sotto assedio

Dalla Bindi a Prodi, i big del Pd dettano le condizioni al leader in cambio del loro sostegno alle primarie

Ricatti e aut aut: Bersani sotto assedio

Roma «Bersani non ha paura di nulla», avverte perentoria la bella portavoce del segretario-candidato, Alessandra Moretti. «Bersani non conosce la parola paura», esagera il responsabile Organizzazione del Pd Nico Stumpo. I suoi magari eccedono in entusiasmo, ma certo al leader Pd, in questi giorni, è richiesto un notevole fegato e molta pazienza, sui molteplici fronti da cui viene strattonato, pressato, assediato. Paradossalmente l'unico che lo sfida apertamente, ossia Matteo Renzi, è anche quello da cui teme meno colpi bassi. Non che Bersani lo sottovaluti: i sondaggi che li danno testa a testa li vede e li soppesa anche lui. E quanto il ciclone messo in moto dal giovane sindaco di Firenze sia potente lo si è visto in queste ore nel Pd del Lazio: i consiglieri regionali sono stati costretti ad annunciare le proprie dimissioni per paura che Renzi, atteso ieri sera a Roma per una manifestazione, li attaccasse pubblicamente accusando il partito di non aver messo riparo allo scandalo dei fondi regionali.
A tirare per la giacca Bersani ci sono i potenziali alleati come Casini e Vendola, che a giorni alterni gli assicurano il proprio appoggio e poi corrono a candidare alla premiership Monti e a inciuciare col Pdl per riforme ultraproporzionali (Casini) o a presentare referendum contro le leggi votate dal Pd, insieme a Di Pietro (Vendola).

A pressarlo c'è anche un padre nobile del centrosinistra come Romano Prodi, che in questi mesi ha più volte lasciato trapelare la minaccia di dare una benedizione a Renzi, ricevuto con molta simpatia a giugno nella sua casa di Bologna, senza contare che un fedelissimo del Prof come Ernesto Carbone sta dando una mano allo staff del sindaco. A fine agosto, anche Bersani è andato a bussare a via Gerusalemme, e Prodi lo ha rassicurato: «Non darò indicazioni di voto». Ma in cambio gli ha chiesto di impedire ad ogni costo il ritorno del proporzionale. Che, dicono i maligni nel Pd, gli sbarrerebbe la strada per il Quirinale: in una trattativa con Casini (anche lui aspirante presidente) e Berlusconi, Prodi sarebbe fuori gioco. Ma il fronte più infido, da cui possono arrivare più trappole e ricatti, resta per Bersani quello interno. La preoccupazione più immediata, per il segretario, si chiama Assemblea nazionale: un appuntamento indispensabile per tenere davvero le primarie, ma che si sta rivelando ad altissimo rischio. Anche perché sarà l'ultima occasione, per i big del Pd, di esercitare il proprio potere di condizionamento nei confronti del leader. Per cambiare lo statuto, e far passare la deroga che consentirà a Renzi di candidarsi, serve un quorum altissimo: 501 voti, la metà più uno dei membri.

I bersaniani stanno in queste ore contattando tutti i capicorrente, per garantirsi la partecipazione e il voto dei loro. In cambio, però, vengono chieste sonanti garanzie. La più esplicita in materia è stata Rosy Bindi, che è anche presidente dell'assemblea e quindi ha un ulteriore potere di condizionarne lo svolgimento: daremo una mano a Bersani e l'ok alle primarie da lui volute, ma solo se bloccherà la liquidazione della vecchia classe dirigente chiesta dai «rottamatori» renziani, ma anche dai giovani turchi bersaniani.

Il tentativo, per sbarrare la strada a Renzi, è di far passare un regolamento che preveda che solo chi si è iscritto all'«albo delle primarie» al primo turno possa partecipare al secondo, scoraggiando così il voto non di apparato. Se Bersani non garantirà a Bindi e agli altri non solo la rielezione, ma anche un adeguato spazio nella prossima legislatura, rischia un flop il 6 ottobre, ben prima delle primarie.

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