Roma Mentre Monti parla in conferenza stampa da Madrid, con a fianco il premier spagnolo Mariano Rajoy, lo spread sfonda quota 500 e la Borsa di Milano va in profondo rosso (-4%). Tuttavia il premier italiano sembra concordare col collega spagnolo la linea da tenere: minimizzare la bocciatura da parte dei mercati dell'immobilismo di Draghi. E minimizzare, quindi, anche il proprio flop. Insomma, Monti fa finta di niente ma ancora una volta hanno vinto i «nein» tedeschi: la Bce non azionerà alcun bazooka. E la speculazione festeggia. Eppure Monti ce l'aveva messa tutta per convincere gli eurofalchi del rigore che senza il cannone di Draghi sarebbero stati guai. Aveva perfino paventato rigurgiti antieuropeisti e il ritorno di Berlusconi e delle forze più scettiche nei confronti della moneta unica e del cappio del fiscal compact: «Lo spread alto non porta a buone politiche e a riforme ma all'esatto opposto - aveva ammonito in mattinata - perché posso assicurare che se lo spread rimarrà alto per qualche tempo, andrà al potere in Italia un governo non europeista, antieuro e non favorevole alla disciplina di bilancio».
Niente da fare. Draghi non spara e Monti raccoglie i cocci della sua politica fallimentare. Fallimento numero uno: era stato chiamato a Palazzo Chigi in un clima di emergenza assoluta perché lo spread era troppo alto ma lo spread resta in orbita. Il problema non era Berlusconi ma l'euro e la sobrietà non fa calare i tassi. Fallimento numero due: Monti, in Europa, è stato debole e inefficace. L'unico momento in cui ha alzato la voce è stato per strappare lo scudo anti-spread, al consiglio di fine giugno. Lo ha fatto per ottenere poco o niente, però. Occorreva il bazooka, ha strappato una cerbottana. Prima, però, s'è chinato ai voleri della Cancelliera che ha imposto a tutti il cappio del fiscal compact: rigide regole sul pareggio di bilancio. E la corda attorno al collo inizia a stringere. Fallimento numero tre: l'eccesso di euroburocraticismo cozza con le aspettative dei mercati e gli appetiti degli speculatori. I tempi per riparare i danni di un'Europa nata sghemba e per costruire una vera unione non sono compatibili con quelli della finanza. Così si continuano ad apparecchiare vertici dove si decide di non decidere e di rimandare più in là. Alla fine vincono sempre i legittimi egoismi nazionali che il Professore non ha saputo difendere abbastanza.
Ma in conferenza stampa il premier dipinge un mondo rosa: «Vedo diversi passi avanti, nessun passo indietro», giura. I mercati non la pensano così ma per il Prof sbagliano: «Forse non hanno valutato appieno le parole di Draghi». Il guaio è grosso ma il premier dice solo che «Si riconosce che l'elevatezza degli spread sono anche un problema per l'eurozona: ormai è un problema di valenza comunitaria». Ma di fatto la tempesta continua e siamo senza ombrello. Chiederemo aiuto al fondo salva Stati? Monti tergiversa: «Non lo so»; e poi elogia i conti italiani: «Abbiamo una delle finanze più solide d'Europa». La sua ricetta è sempre la stessa: l'Ue. «Mi auguro che arrivi presto un accordo sulla vigilanza bancaria», dice, prima di prefigurare altri sacrifici: «La stabilizzazione dei mercati dipende dal fatto che ciascuno faccia bene i propri compiti a casa». Di fatto, Monti a casa torna più debole. E forse la sua poltrona traballa anche se il diretto interessato lo esclude: «La vita dell'attuale governo - assicura - è destinata ad essere pari alla vita della legislatura». Ma Bersani lancia l'allarme: «Siamo preoccupati perché le decisioni sono ancora precarie e deboli».
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