Riforma della giustizia, la zampata di Alfano adesso spiazza Bersani

Count down tra tensioni e pretattica per il vertice di domani con il premier. Il segretario Pdl: se dobbiamo parlarne, affrontiamo la punibilità delle toghe

Riforma della giustizia, la zampata di Alfano adesso spiazza Bersani

Roma - «Noi parliamo di lavoro, Bersani di Rai». Fedele all’approccio muscolare dell’ultima settimana, Angelino Alfano tiene alta la guardia in vista del vertice di maggioranza di domani con Mario Monti, Pier Luigi Bersani e Pier Ferdinando Casini. Il messaggio inviato ai partecipanti è chiaro: non ci saranno cedimenti su giustizia e Rai, i temi della discordia che fecero saltare il summit di sette giorni fa. «Abbiamo chiesto che al primo posto ci fosse il lavoro. Quindi bene l’agenda Monti. Se faremo in tempo ci occuperemo di Rai e giustizia. Se qualcuno vorrà occuparsene, se ne occuperà».
Le istruzioni per l’uso per un incontro inevitabilmente segnato da un maggior numero di spine rispetto a quelli dei mesi scorsi, il segretario del Pdl le detta da Agrigento. «Per noi le priorità sono il lavoro e l’accesso al credito» continua Alfano. «Per questo motivo al presidente dell’Abi Mussari porremo questioni ben precise. Siamo dell’idea che le banche italiane non possano ricevere 139 miliardi di euro dalla Bce e riceverli all’1 per cento senza che i cittadini ne abbiano benefici».
Perplessità suscita, invece, l’improvvisa attenzione del Pd verso la giustizia. Un ribaltamento nella gerarchia delle priorità che Alfano bolla come il «paradosso Bersani». «Per tre anni e mezzo abbiamo affrontato i temi della giustizia, dell’antimafia, della riforma della giustizia civile, abbiamo parlato della digitalizzazione del sistema giustizia. Rileviamo il paradosso di un Bersani che per tre anni e mezzo ci ha detto che i problemi erano altri, e oggi che c’è un governo che si deve occupare di economia, il Pd, che dovrebbe essere il partito a tutela del lavoro e dei lavoratori vuole parlare di giustizia ed è particolarmente appassionato anche al tema Rai». Il segretario del Pdl, comunque, non chiude del tutto sull’argomento ma sfida gli azionisti del governo Monti ad allargare il raggio della discussione. «Sulla giustizia il nostro menu è abbastanza ampio. Vi è il ddl anticorruzione a firma del governo Berlusconi e mio, le intercettazioni, il giusto processo, la riforma costituzionale della giustizia e la responsabilità civile dei magistrati». Un approccio che rischia di mettere in difficoltà Bersani che percepisce il pericolo di uscire sconfitto da questo braccio di ferro, soprattutto se si dovesse chiudere un accordo sul welfare e dovesse essere costretto a ingoiare la modifica dell’articolo 18.
Sul tema caldo della giustizia l’approccio di Mario Monti appare invece improntato al realismo. «È doveroso che il governo si occupi anche dei temi della giustizia civile e in questo senso il tema della corruzione non può essere al di fuori dell’ottica del governo» dice il premier. «Naturalmente la posizione del governo su iniziative parlamentari esistenti in materia di corruzione non può prescindere da un’esplorazione politica delle concrete possibilità che il Parlamento le approvi». Un rilievo quantomai appropriato in una giornata in cui il governo viene battuto per tre volte alla Camera nelle votazioni sugli ordini del giorno al decreto semplificazioni.
La linea dura del Pdl, peraltro, non riguarda solo la giustizia ma si allarga anche alle nomine Rai. «Sulla governance di Viale Mazzini non accetteremo alcuna modifica», fanno sapere da Via dell’Umiltà. «Al rinnovo del Cda si dovrà procedere seguendo le regole previste dalla legge Gasparri». Alfano si concede poi una battuta sulla sentenza per la strage mafiosa di Firenze che esclude qualsiasi coinvolgimento di Forza Italia. «Chi di noi aveva aderito nel 1994 a Forza Italia, io avevo 23 anni, non aveva bisogno di aspettare questa sentenza per sapere che Forza Italia è nata come un grande movimento di popolo su intuizione di un grande imprenditore che aveva colto il segnale di una società che aveva bisogno di una nuova rappresentanza». Soddisfazione anche per l’accordo sul nome di Massimo Costa come candidato sindaco a Palermo.

«Questa candidatura è figlia di una apertura che lo stesso Costa ha fatto a tutte le forze moderate di Palermo. Cogliamo con favore il fatto che alcuni partiti, a cominciare da Udc e Grande Sud, abbiano scelto di privilegiare il bene della città piuttosto che schemi politici rigidi».

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