Tra riformulazioni, ritiri di firme e nuovi testi le votazioni sulle mozioni e risoluzioni, che fissano il percorso per le riforme costituzionali, sono state segnate dal solito, desolante teatrino di un Pd isterico e incapace di tenere la linea. È bastata una semplice dichiarazione, pronunciata con il consueto tono pacato, e i democratici sono andati nel pallone. "La mozione Giachetti è stata presentata in maniera intempestiva. Deve essere chiara una cosa: non possiamo non trovare una soluzione che ci trovi tutti d’accordo e non possiamo mettere a repentaglio il percorso delle riforme con atti di prepotenza". A pronunciarla Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato. Destinatario Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera. Due esponenti di prima linea del Partito democratico. Oggetto del contendere la revisione della legge elettorale, uno dei punti più importanti della stagione riformatrice che avrebbe dovuto aprirsi con la nascita del governo delle larghe intese.
"Oggi parte un processo costituente che coinvolgerà tutti e che rafforzerà la centralità del parlamento", ha assicurato il premier Enrico Letta nel suo intervento al Senato. La mozione, siglata dai capigruppo della maggioranza e approvata oggi pomeriggio a maggioranza, indica la strada concordata tra Pd-Pdl e Scelta Civica e impegna l'esecutivo a presentare entro giugno un ddl costituzionale che crei un comitato ad hoc, composto dai componenti delle commissioni Affari costituzionali a cui sarà delegata la revisione dei titoli I, II, III e V della seconda parte della Carta. Il frutto del lavoro del Comitato bicamerale passerebbe poi all’esame delle due Camere. "È un'occasione da cogliere fino in fondo", ha spiegato il premier invitando il parlamento a smettere di "litigare sulle riforme da fare" senza mai combinare niente. "Abbiamo la Carta più robusta, ma nonostante che abbia retto bene dobbiamo cambiarla oggi rispetto alle esigenze della nostra società - ha continuato il presidente del Consiglio - le riforme istituzionali sono una delle più importanti riforme strutturali che l’Italia può fare perché attualmente il Paese non ha istituzioni che lo rendono capace di decidere ed essere capaci di decidere è il primo tema all’ordine del giorno". Per l'esecutivo è fondamentale il senso dell’urgenza segni il passo delle riforme al fine di non imbarcarsi in un percorso dai tempi indefiniti. Per Letta, insomma, i tempi devono essere certi: "Diciotto mesi per me sono un tempo giusto".
"La legge elettorale va cambiata - ha avvertito Letta - sarà parte fondamentale del processo di riforme perché l’attuale legge non è giusta per le esigenze". Eppure a dividere le forze politiche che siedono in parlamento è proprio quella riforma della legge elettorale tanto richiesta dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Da Giachetti è arrivata la proposta di tornare al Mattarellum. Per questo ha raccolto diverse decine di deputati a sostegno della propria mozione. Un’iniziativa che ha un doppio peso politico dal momento che attorno ad essa si potrebbero creare consensi ben oltre i confini del partito, anche tra le file di Sel e dei Cinque Stelle. All'assalto mosso dalla Finocchiaro, Giachetti ha subito messo le cose in chiaro: "Non ritiro niente". Dalla sua parte si sono schierati renziani e prodiani che hanno votato contro la relazione del capogruppo Roberto Speranza che chiedeva a Giachetti di ritirare la mozione. I veltroniani, invece, hanno preferito astenersi. E così il Pd si è trovato (ancora una volta) spaccato da una guerra fratricida. Tanto da obbligare Letta a scendere in campo intimando al deputato piddì a fare un passo indietro: "Darò parere contrario a quelle mozioni che entrano troppo nel merito". Così, dopo una lunga giornata di scontri, l'Aula di Montecitorio ha affondato il blitz di Giachetti con 415 voto contrari e 139 a favore: non basta l'appoggio, in blocco, dei deputati pentastellati.
Scongiurato lo "sgambetto" sulla legge elettorale, lo psicodramma democratico non si esaurisce comunque. In serata un gruppo di 43 parlamentari, appartenenti a diverse aree, ha infatti sottoscritto un documento per dissentire sull’iter delle riforme e sui contenuti, indicato nella mozione di maggioranza.
Tra i firmatari Rosi Bindi, i prodiani Franco Monaco e Sandra Zampa e diversi esponenti della nuova sinistra interna (tra cui Pippo Civati e Laura Puppato). Insomma, il Pd torna a essere una polveriera che rischia di esplodere da un momento all'altro: la pax raggiunta con l'insediamento di Letta a Palazzo Chigi e di Guglielmo Epifani alla segreteria è già finita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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