Roma I baby pensionati? Da tutelare. I privilegi degli statali? Da difendere in tutti i modi. Parole dello stesso Pier Ferdinando Casini, oggi alfiere del «siamo responsabili». Eccolo il paradosso tutto democristiano: Casini rimedio dei danni fatti (anche) da Casini. Sembra una battuta ma non è così. Sì perché adesso il leader dell'Udc si presenta come il massimo sponsor di Monti, quello dell'«abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità», quello del «non c'è più trippa per gatti», dell'«abbattiamo il debito pubblico senza guardare in faccia a nessuno». Ma proprio a nessuno, neppure allo specchio; neppure alla propria storia, al proprio passato. Che noi, invece, ricordiamo.
Prendiamo la scellerata legge numero 1092 del 1973, partorita dal IV governo Rumor, democristiano of course, che istituiva le baby pensioni nell'impiego pubblico: 14 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro per le donne sposate con figli; 20 anni per gli statali; 25 per i dipendenti degli enti locali e la pensione era assicurata. Un bel regalo a un piccolo esercito di lavoratori che, ancora oggi, costano allo Stato qualcosa come 9,5 miliardi di euro l'anno. Tanto paga pantalone. Ma cosa c'entra Casini? C'entra che dieci anni dopo l'approvazione di quella legge-omaggio, 1983, il giovane democristiano entra alla Camera per la prima volta. IX legislatura, governo Craxi. E Casini che fa? Una delle sue prime proposte di legge, assieme a un manipolo di colleghi democristiani, tra cui Nino Cristofori, Felice Contu e altri, è tutta volta a proteggere i privilegi acquisiti dai baby pensionati. Già all'inizio dell'83 ci si era resi conto che forse si era scialato troppo. Meglio cambiarla. Ci provò il governo con un decreto legge ma ecco Casini e i suoi mettersi di traverso il 19 settembre 1983, presentando un provvedimento tutto volto al mantenimento dello status quo. Nella relazione allegata alla proposta di legge casiniana si legge testualmente: «Diritto acquisito e consolidato, quindi, quello che oggi ironicamente si definisce pensionamento baby, diritto selvaggiamente stravolto, dalla sera al mattino, da un decreto legge formulato sotto la spinta di un irresponsabile campagna di stampa, scoppiata tutta d'un tratto e che lascia pensare che sia stata ad arte preparata chi sa da quale forza occulta». Insomma, qualche anno fa era la stampa ad essere «irresponsabile» perché osava dire «occhio ai conti pubblici». E definire «baby» chi andava in pensione dopo meno di 15 anni di lavoro era facile «ironia».
E ancora, si legge nella relazione con tanto di «Onorevoli colleghi!»: «Si è parlato di immoralità per il pensionamento anticipato dei dipendenti statali ma, colleghi, non è forse immorale imporre norme peggiorative e annullare diritti consolidati?». Un regalo è un regalo ma se diventa un diritto acquisito, non lo si tocchi più. I risparmi per le casse dello Stato? Chissenefrega. Il dipendente statale va difeso, protetto, tutelato. Ecco perché: «Il dipendente statale, prendendo atto che il proprio stipendio sarebbe stato di molto inferiore a quello del settore privato... ha preferito, nonostante tanti lati negativi, l'impiego pubblico a quello privato unicamente nell'ottica di poter maturare il trattamento di quiescenza dopo 14 anni, sei mesi e un giorno».
Poverino, mica si possono deludere le sue legittime aspettative, no? Ma come? E i conti dello Stato? E il debito pubblico? E le politiche responsabili che tanto piacciono al Casini del 2012? Per il Casini di 30 anni prima erano poco più che fesserie. Insomma, oggi Casini fa il tutore dei bilanci dello Stato, ieri era in prima fila per affossarlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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