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Ruby, è di nuovo battaglia tra buchi neri e incongruenze

Da venerdì l'appello per Berlusconi. L'accusa vuole il processo lampo. La difesa riparte dalle testimonianze, tutte contro il teorema dei pm

Ruby, è di nuovo battaglia tra buchi neri e incongruenze

Milano - Un lungo summit, ieri pomeriggio, nella casa di Arcore, con i suoi difensori, è il segno per Silvio Berlusconi che la pausa è finita: e la stagione dei processi, con i suoi riti, e le sue inevitabili polemiche, va a ricominciare. Ma stavolta è diverso: nel suo scontro ormai ventennale con la magistratura milanese, per la prima volta il Cavaliere affronta i giudici nudo. Non è più premier, non è più nemmeno parlamentare. Peggio: è un condannato che sta scontando la sua pena in affidamento ai servizi sociali.

Venerdì prossimo - salvo ripensamenti della vigilia - Berlusconi dovrebbe essere come ogni venerdì a darsi da fare con i malati di Alzheimer di Cesano Boscone. Ma nelle stesse ore, davanti ai giudici della seconda sezione della Corte d'appello di Milano si aprirà il processo più temibile che il leader azzurro abbia affrontato in vita sua. È il processo d'appello per il caso Ruby, quello che in primo grado ha visto piombare sull'ex presidente del Consiglio una condanna ancora più severa di quanto chiesto dalla Procura. Sette anni di carcere per concussione e per utilizzo della prostituzione minorile. Una batosta che se diventasse definitiva, spazzerebbe via le chance di sopravvivenza cui Berlusconi si è appigliato finora - indulti, prescrizione, affidamenti - e renderebbe possibile e forse inevitabile il carcere. Come Marcello Dell'Utri.

Il processo che inizia venerdì è l'ultima chance per Berlusconi per dimostrare l'innocenza che rivendica dall'inizio di questa storia, convincendo i giudici di non avere fornicato con Ruby e di non avere pressato o minacciato nessuno perché la ragazza venisse rilasciata quando venne fermata dalla polizia. Se andrà male anche in corte d'Appello, solo la Cassazione separerà Berlusconi dalla catastrofe: e che aria tiri per lui in Cassazione, il Cavaliere lo ha già toccato con mano nell'agosto scorso, quando proprio dagli ermellini romani gli venne confermata in una manciata di ore la condanna per i diritti tv.

Proprio per questo, il processo che inizia venerdì sarà di battaglia a tutto campo. La Procura generale chiederà un processo lampo: nessun nuovo testimone, relazione del giudice a latere, requisitoria, arringhe, sentenza: tutto in tre o quattro udienze, prima delle vacanze potrebbe essere tutto finito con la conferma della condanna. Tutt'altra tattica da Niccolò Ghedini e Piero Longo, che torneranno a chiedere che si scavi in profondità su quanto accadeva nelle allegre notti di Arcore, e che vengano interrogati i tanti testimoni a difesa che a un certo punto del processo i giudici di primo grado decisero di tagliare.

Ma più dei testimoni che non sono stati ascoltati, la vera battaglia che i legali di Berlusconi intendono combattere è sugli altri testimoni della difesa, quelli che in aula sono sfilati e hanno osato fornire dichiarazioni non in linea con la Procura. È lì, dicono Ghedini e Longo che si è consumata la «colossale anomalia» del processo: perché per aggirare versioni che avrebbero reso impossibile la condanna, i giudici hanno deciso di incriminare in blocco trentadue testimoni. Chi non si è schierato con l'accusa, chi non ha portato acqua al mulino delle tesi di Ilda Boccassini, mente. Per i giudici mentono tutti: le Olgettine che hanno negato che ad Arcore i dopocena finissero tra le lenzuola, la poliziotta che dice di avere rilasciato Ruby di sua iniziativa, i commensali che hanno riferito solo di barzellette e canzoni. Tutti bugiardi, per soldi, convenienza, sudditanza.

Da qui, dalla battaglia per riportare tutte le testimonianze su un piano di parità, inizia il processo bis del Cavaliere. Sapendo che in campo c'è anche dell'altro. A partire dai buchi neri della sentenza pronunciata dal giudice Giulia Turri il 24 giugno di un anno fa. Il principale: nessuno, neanche tra le ospiti di Arcore divenute testimoni d'accusa, ha visto Berlusconi fare sesso con Karima el Mahroug, e nemmeno toccacciarla, sfiorarla, niente; e nessuno ha mai detto che Berlusconi sapeva che quando partecipava alle serate la ragazza era minorenne. Sono i punti chiave, senza i quali il reato non esiste: e per condannare Berlusconi i giudici si affidano alle uniche due intercettazioni in cui lei, Ruby, ad un tempo vittima e complice, si vanta con un'amica.

Ma, dicono i legali, son chiacchiere perse in un mare di millanterie e di fanfaluche, e che la stessa Ruby ha ammesso di essersi inventata.

E poi, sullo sfondo, c'è quanto è emerso in queste settimane sulla genesi nel 2010 dell'inchiesta Ruby, con Ilda Boccassini che ne diventa senza alcun titolo la regista, facendo il bello e il cattivo tempo.

Le prove raccolte restano valide, su questo non si discute. Ma quanto ha pesato, quel peccato originario, nel condizionare l'inchiesta e il processo che hanno portato alla condanna di Berlusconi?

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