«È una brutta giornata per noi spagnoli. Facciamo parte di un club, l'Unione europea. Come soci ci hanno detto di indossare il vestito buono, il frac. Abbiamo fatto sacrifici e sforzi per trovarlo. E ora ci dicono che non basta, che serve altro per essere alla loro altezza e il morale è a terra». Fernando Garcia Sanz (nella foto), storico e direttore della prestigiosa Scuola spagnola di Storia e archeologia del Csic a Roma, racconta la sua Spagna, nel giorno forse più triste; la tensione è alle stelle, gli stipendi tagliati ancora per far tornare i conti. Il club europeo ieri ha detto sì agli aiuti, eppure i mercati non hanno reagito bene. «È il grosso problema in questo momento: c'è uno sforzo enorme e non c'è risposta a questa fatica».
Perché fino a un anno fa la Spagna era il Paese del miracolo e oggi sta fallendo?
«L'errore è l'analisi. Non era un sorpasso sull'Italia, da noi il boom era basato sulla bolla edilizia, sul finanziamento facile, la crescita ruotava intorno a questo. Certo, c'è stata la crisi finanziaria internazionale, ma il problema specifico spagnolo è stato quello della crisi edilizia. Il modello di crescita. Non è un mistero. Da lì le crisi delle banche, del valore degli immobili. Il baratro».
Rajoy ha fatto le riforme volute dall'Unione europea, ma cosa non ha funzionato?
«Il governo è in carica da sei mesi soltanto, e sì, è vero: i compiti a casa li abbiamo fatti, il governo si è impegnato, gli sforzi sono alle stelle. Più di così è impossibile. Quello che non ha funzionato è la risposta dei mercati internazionali. Manca la fiducia e manca un progetto politico europeo che ci indirizzi, una soluzione da Bruxelles o dal Fondo monetario internazionale. Quello che poteva fare il governo è stato fatto, in Spagna come in Italia; la soluzione deve arrivare dall'Europa. E a questo punto ne va della stessa esistenza del sistema».
C'è il rischio che la crisi faccia cadere l'Ue?
«Qui dobbiamo fare un passo indietro e fare una riflessione di fondo: cosa è diventata l'Ue, che progetto politico coltiva? C'è l'impressione che si bussi a Bruxelles e nessuno risponde. Mancano decisioni politiche, non c'è nessuno che governa, siamo costretti a risolvere i problemi per conto nostro, ogni Stato a sé, ma non funziona così, è evidente. E lo dico da storico: ai problemi nuovi, servono risposte nuove, e invece vedo solo risposte vecchie. Perché manca una testa politica pensante, che decide in fretta. La Germania chiede i conti in ordine, ma non si può limitare a quello».
Come si immagina un'Europa non più unita?
«Sarebbe un fallimento, l'Europa ha già avuto una brutta esperienza, si tornerebbe all'Europa delle egemonie. È questo che vogliamo?»
C'è una differenza tra la crisi spagnola e quella italiana?
«A differenza dell'Italia, da noi il debito pubblico è basso, ma abbiamo un debito privato molto alto».
C'è un rischio Grecia?
«No, perché la Spagna non è la Grecia. Se cade la Spagna, allora cade anche l'Italia. Ovvero circa il 20% del Pil europeo».
Quali sono le risorse per uscire dalla crisi?
«La crescita.
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