Roma - Contrordine compagni: Mario Monti non è più il supereroe, l'uomo che ci ha liberato da Berlusconi, addirittura un «padre della Patria». È ora un politucolo che osa schierarsi niente di meno che contro il Pd, il partito a cui deve la nascita e la sopravvivenza del suo governo. Eugenio Scalfari (nel tondo) ha compiuto la sua piroetta, cauta come si conviene a un signore quasi novantenne, eppure plastica: da montiano ad antimontiano nel giro di poche settimane. Oplà.
La mutazione è scolpita nell'articolessa con cui il fondatore di Repubblica da anni ammaestra i suoi lettori della domenica: una messa laica del dì di festa, la liturgia del radicalismo chic de sinistra. «Perché Monti mi ha deluso», il titolo della predica di don Eugenio, lunga 378-righe-378. Di cosa accusa il Professore il canutissimo giornalista? Di essere «salito» in campo dopo avergli promesso, in colloquio prenatalizio che Scalfari spiattellò sul suo quotidiano bruciando la conferenza del presidente del consiglio uscente, che non l'avrebbe fatto. Ciò facendo Monti osa ostacolare il disegno divino che pretende la vittoria del centrosinistra alle elezioni del prossimo febbraio. Ragiona Scalfari: 1) Monti non vincerà le elezioni, le vincerà il Pd; 2) al Senato Bersani potrebbe però non avere la maggioranza; 3) si potrebbe rendere così necessaria la Grosse Koalition tra progressisti e centristi; 4) ma quei ricattatori di Monti&Co vogliono la presidenza del consiglio e dettare il programma. Un golpe - ohibò - che spalancherebbe Palazzo Chigi non a chi ha ottenuto più voti ma a «un nuovo Ghino di Tacco», vale a dire un brigante ancorché gentiluomo.
La truffa-Monti brucia ancor più a Scalfari perché la sua azione di governo «fu resa possibile dal Pd», che con il governo Berlusconi messo in minoranza alla Camera, «avrebbe potuto chiedere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni» che «avrebbe stravinto» ma si rifiutò per non consegnare l'Italia alla «macelleria speculativa». Un irriconoscente, il Professore.
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