Politica

Scandalo di Stato: la scuola che fa propaganda gay

Il Comune di Venezia compra favole gay per gli alunni, a Milano "papà" diventa genitore. Ma educare i figli spetta alla famiglia

Cosa devono fare i genitori quando vengono a sapere che nell'asilo nido o nella scuola pubblica dell'infanzia i propri bambini sono educati in un modo contrario ai valori culturali tradizionali della famiglia composta da un padre e da una madre? Il comportamento più sensato è portare via i figli da quella scuola. Ormai non sono pochi i casi in cui, col pretesto di difendere il giustissimo diritto alla libera scelta sessuale, è stata accettata una pesante ingerenza nell'educazione scolastica, in particolare dei bambini piccoli, per diffondere un'ideologia che vuole lo sfascio della struttura tradizionale della famiglia. Questo, naturalmente, nel nome del progresso e dell'emancipazione civile.
Chi avrebbe mai pensato che il tramonto dell'ideologia marxista avrebbe trasferito il comunismo sotto le bandiere dell'omosessualità, chi avrebbe mai potuto immaginare che l'omosessualità, sia pure non consumata ma soltanto mimata o recitata, sarebbe diventata un'indispensabile iniziazione per rianimare idee comuniste defunte che, con il diritto alle scelte sessuali individuali, non ha nulla a che fare.

La roccaforte che il marxismo avrebbe dovuto distruggere era la famiglia, perché sulle sue macerie avrebbe potuto incominciare a costruire un'altra idea di società. Oggi, ancora, la famiglia è sotto il tiro incrociato di un'ideologia che la vorrebbe annientare: ma non apertamente, in modo subdolo, ipocrita, sostenendo che un padre e una madre sono irrilevanti nella composizione genitoriale, che la famiglia si può comporre di due uomini o di due donne con le stesse funzioni dei genitori di una famiglia tradizionale.

Sempre, e in linea di principio, la scuola, soprattutto quando si parla ai bambini piccoli, non deve mai invadere il campo della famiglia che ha il diritto di educare i figli secondo la propria visione culturale. In secondo luogo, la scuola non può arrogarsi il diritto di usare libri che possono pesantemente interferire sull'educazione dei bambini. I genitori hanno il sacrosanto diritto di protestare quando vengono estromessi da questa fondamentale funzione educativa.
Nelle scuole italiane, quelle della prima infanzia e dell'adolescenza, stanno diffondendosi libri che, con il pretesto di far conoscere «la cultura della differenza» (indecente eufemismo che offende la differenza, confondendola in una cultura dell'omologazione omosessuale) attacca l'istituto famigliare, mettendo in crisi il principio stesso che nella famiglia ci siano un padre e una madre di sesso diverso. Si è arrivati al punto che, nel leggere questi libri, chi si azzarda ancora a sostenere che una famiglia sia composta da un padre e da una madre, debba vergognarsi e scusarsi di fronte ai profeti del nuovo progressismo, cioè agli omosessuali dichiarati.

Talvolta l'aspetto grottesco di questa nuova visione dell'emancipazione civile viene alla luce per casi fortuiti, come è accaduto recentemente a Venezia dove nella giunta del sindaco, invece di litigare i due classici galli nel pollaio, hanno litigato due galline in mezzo a spauriti galletti. Allora, si è saputo che una delle galline (absit iniuria verbis), cioè un'assessora, ha fatto il convegno: «Maestra, ho due mamme», e l'altra gallina, per tutta risposta alla collega della sua stessa area politica ma in competizione nella raccolta delle preferenze, ha replicato con: «Maestra, ho due papà», invadendo le scuole con migliaia di libricini (costati 9.814,86 euro al Comune) «per educare i bambini contro le discriminazioni e per promuovere l'omogenitorialità», in sostanza contro l'idea reazionaria e oscurantista che una famiglia sia composta da un papà e da una mamma, parole che a Milano sono state abolite e sostituite dal neutro genitore e in un liceo da «genitore uno» e «due», senza pensare, tra l'altro, all'ingiustizia della graduatoria.

A Venezia, intanto, non si sa cosa farà adesso il sindaco entrando nel pollaio della sua giunta: c'è piuttosto da chiedersi perché il ministro dell'Istruzione non intervenga per disciplinare un problema che ha ormai rilevanza nazionale, che è preda della più disastrosa anarchia, che non può essere lasciato alla fantasia degli amministratori dei Comuni.

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