«Scarabocchi e tatuaggi svelano l'Io più segreto»

Ha cominciato analizzando gli scarabocchi dei bambini e ci ha scritto un libro, E il foglio si copre di emozioni. Poi è passata allo studio della scrittura negli adulti, frequentando la scuola di padre Girolamo Moretti (1879-1963), il frate francescano considerato l'inventore della moderna grafologia. Non contenta, s'è dedicata alla decrittazione dell'epidermide cesellata e ci ha scritto un altro libro, Psicologia del tatuaggio. Già che c'era, ha abbracciato la fisiognomica con cui il medico e criminologo Cesare Lombroso sul finire dell'Ottocento pretendeva di scoprire il carattere degli individui dai loro tratti somatici ed è pervenuta alla formulazione di un metodo che stabilisce se un uomo e una donna sono idonei o no a un'unione che duri Per tutta la vita, titolo del terzo libro. Di sfuggita, ha condotto una solitaria indagine statistica che le ha permesso di stabilire come solo in una delle 52 settimane dell'anno vi sia un'altissima probabilità di concepire un figlio dotato di un quoziente intellettivo superiore alla norma.
Esaurita la premessa, si comincia a capire come mai la professoressa Anna Maria Casadei, originaria di Ferrara ma residente a Bologna, per 30 anni docente di educazione artistica e storia dell'arte nelle scuole medie e nei licei, specializzata in psicologia del disegno infantile e diplomata in psicografologia, sia innamorata di Leonardo da Vinci. Al quale un pochino assomiglia nell'ingegno proteiforme, che spazia dall'arte («per anni ho riprodotto quadri famosi di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini, molto richiesti dai collezionisti nonostante fossero firmati “falso di Anna Maria Casadei”») fino alle capacità progettuali: è suo il progetto numero 0001322628, registrato nel 2004 dall'Ufficio italiano brevetti e marchi, per un «parargini a punta di diamante, a scacchiera, a lisca di pesce, a rami di albero», che, collocato appunto su entrambi gli argini nel punto in cui fiumi e torrenti disegnano un'ansa, riesce a rallentare le ondate di piena e a evitare le esondazioni.
E se la vita, con le sue traversie, le impediva di imitare Leonardo da Vinci, la professoressa Casadei cercava di mantenersi nei paraggi dell'arte. Come quando, fresca di diploma e non volendo separarsi dall'unico figlio che all'epoca aveva appena 5 anni, rinunciò alla cattedra che le era stata assegnata a Nuoro e s'adattò a lavorare come impiegata al teatro Duse di Bologna pur di godere della vicinanza di Giorgio Albertazzi e Tino Buazzelli, ma anche di Walter Chiari e delle gemelle Kessler. «Cominciavo al mattino con la contabilità e finivo a notte fonda con le recite, che seguivo da dietro le quinte. Ricordo che dovemmo approntare una cucina nel retropalco, sorvegliata dai vigili del fuoco, per cuocere gli spaghetti di Sabato, domenica e lunedì, la commedia in cui Eduardo De Filippo decantava 'o 'rraù, il famoso ragù della sua mamma. L'attore napoletano li voleva cotti al punto giusto e scolati un attimo prima d'essere portati in scena. “Mica per altro: me li devo mangiare io”, si giustificava. E che sfuriate a recita finita se non erano al dente».
Vittima di un'infanzia infelice e di un divorzio che l'ha fatta molto soffrire, Anna Maria Casadei dà l'impressione d'aver inseguito nei suoi studi quell'ideale di armonia che nasce dall'incontro con i propri simili, a cominciare dai familiari. Adesso che il figlio Andrea è quarantenne, completa il ruolo di madre prestata prima all'arte e poi alla scienza con un'iniziativa che ha già mobilitato i giudici del Guinness dei primati: questa domenica, in piazza Maggiore a Bologna, stenderà per terra più di 10.000 scarabocchi spediti da bambini di tutto il mondo. «Serviranno a formare la scritta “Ageop scarabocchia”».
Che sigla è?
«Associazione genitori ematologia oncologia pediatrica. Assiste i bambini affetti da patologie leucemiche e tumorali. Ho pensato che questo fosse il modo migliore per celebrare il trentesimo della sua fondazione. Per creare ciascuna lettera stesa a terra, alta 6 metri, servono 600 disegni. Ne sono giunti da ogni Paese, dagli scolari di Gerusalemme come dai piccoli pazienti della Slovenia».
Che cosa dicono gli scarabocchi di un bimbo?
«Esprimono la sua interiorità. Non sono sgorbi né tantomeno un insieme di segni senza senso, come si legge nei dizionari. Purtroppo le mamme credono che siano solo un modo per sprecare i fogli. Invece il bambino sa bene quello che fa. Nel tracciare uno scarabocchio può partire dall'alto o dal basso, da destra o da sinistra, dall'interno o dall'esterno. Per esempio, se parte da sinistra verso destra, questo denota pessimismo e scarsa evoluzione della personalità; se parte dall'interno verso l'esterno, grande sicurezza e sete di conquista».
Lei scarabocchia?
«Mentre parlo al telefono».
Che genere di scarabocchi fa?
«Quadrati e stelle».
Che cosa significano?
«I quadrati che mi ritraggo in me stessa. Le stelle che nella conquista di maggiori spazi sono frenata dalla paura».
Quando ha cominciato a studiare gli scarabocchi?
«A 10 anni vedevo i miei fratellini di 4 e 2 anni che scarabocchiavano le copertine dei quaderni e m'interrogavo sul significato di quell'attività. All'età di 2 anni mio figlio ha cominciato a fare gli stessi segni. Ho capito che era il suo modo di parlarmi e ho voluto approfondire».
Perché questa attenzione ai bambini?
«Perché spesso la famiglia si dimentica di loro. Io ero la primogenita, eppure mio padre, un artigiano, aveva occhi solo per i due figli maschi. Non ho mai avuto il coraggio di dirglielo. Presi per prima la patente e a lui parve naturale che continuassi ad andare a piedi. Non appena la conseguirono i miei fratelli, a loro comprò subito un'auto tedesca, un'Arabella. Ai quei tempi era normale così. In casa non c'era dialogo, si parlava del nulla».
Com'è arrivata alla fisiognomica?
«Partecipando a una campagna di scavi archeologici in un sito etrusco di Cortona, trovai due frammenti di una coppa, combacianti, che recavano i profili di una donna e di un uomo. I nasi si sfioravano: il preludio di una cerimonia nuziale. Il mio matrimonio stava andando a rotoli. Da lì l'idea di un test che, partendo dai tratti somatici, aiutasse la coppia a conoscersi meglio prima di sposarsi. Cinque anni di studio ci sono voluti. Per concludere che fra me e mio marito c'era un'incompatibilità di profilo: fronte tipica del cocciuto arrogante la sua, fronte tipica dell'estroversa malleabile la mia».
Non sembra un metodo scientifico.
«Invece dall'attaccatura dei capelli al collo ogni parte del viso esprime una caratteristica. Prenda il naso. Punta di lui rivolta verso il basso, punta di lei all'insù: corrispondono a grossa sintonia. A un mese dagli attentati dell'11 settembre 2001, Il Messaggero mi chiese uno studio fisiognomico su Osama Bin Laden. Dal naso e dal mento dedussi che si trattava di un soggetto molto timido ma dotato di grande autostima. Che è esattamente il ritratto che poi sarebbe uscito dalle testimonianze di chi l'ha conosciuto».
Insomma, a naso lei pretende di stabilire se un matrimonio durerà o no.
«Vuole la controprova? Alessia Ercolini, giornalista di Anna, nel 2001 mi sottopose le foto di profilo di quattro coppie celebri: Antonio Banderas e Melanie Griffith, Guy Ritchie e Madonna, Michael Douglas e Catherine Zeta Jones, Phil Bronstein e Sharon Stone. Il mio responso, pubblicato, fu: Banderas-Griffith, coppia in grande armonia, infatti sono ancora insieme; Ritchie-Madonna, progetti comuni ma poi tutto sfocerà in delusioni, infatti si sono separati; Douglas-Zeta Jones, coppia poco solida ma potrebbe resistere nel tempo, e infatti sono ancora insieme; Bronstein-Stone, il comportamento di lei potrebbe incrinare il rapporto, e infatti hanno divorziato».
Lei ha scritto Per tutta la vita, ma il «finché morte non vi separi» ormai non vale più neanche per i cattolici.
«Questo ha a che vedere con l'impazienza e la superficialità delle coppie d'oggi. Scarseggiano il rispetto e la capacità di mantenere un impegno assunto solennemente. E qui la fisiognomica può fare ben poco».
Forse una volta i matrimoni duravano per tutta la vita solo perché le mogli, prive di un lavoro e di un reddito, si rassegnavano a stare sino alla fine sul libro paga dei mariti, non crede?
«Sarò una romantica, ma io a questa utopia dell'amore eterno credo ancora. Il lavoro? Ci ho rinunciato per sei anni perché ritenevo più importante seguire mio figlio nella prima infanzia. Quando tornai in cattedra, l'unico posto disponibile era quello di docente d'educazione artistica ai corsi Cracis per i lavoratori della Terninoss, oggi Acciaierie di Terni della Thyssen Krupp. Uomini dai 30 ai 60 anni che dopo il turno agli altiforni, sfiancati dalla fatica, venivano a sudare sui libri per ottenere la licenza media. Non ho mai visto, dopo d'allora, studenti più appassionati alla storia dell'arte di quelli, e guardi che di allievi in 30 anni d'insegnamento ne ho avuti quasi 10.000. Ascoltavano le lezioni a bocca aperta, ce la mettevano tutta nel disegno. Gente speciale».
Come ha fatto a stabilire qual è il momento migliore per concepire un figlio molto intelligente?
«Per un certo periodo ho lavorato al Provveditorato agli studi, dove avevo accesso alle date di nascita e ai voti di laurea di circa 5.000 insegnanti. Con un calcolo a ritroso che teneva conto dei nove mesi di gravidanza, mi sono accorta che i 110 e lode riguardavano per l'88 per cento solo docenti nati in una precisa settimana dell'anno. La medesima verifica l'ho compiuta sulle medie in pagella di 1.500 miei allievi. Stesso risultato, stessa percentuale».
Quale sarebbe questa settimana?
«Non lo dirò mai».
Mi dica almeno la stagione.
«Equivarrebbe a distinguere l'umanità in persone di serie A e di serie B. Sono contraria all'eugenetica. Dunque è un segreto che mi porterò nella tomba».
Come mai ha studiato i tatuaggi?
«Lo psicoanalista Carl Gustav Jung sosteneva che ogni simbolo è in definitiva un corpo vivente. Fin dal V secolo avanti Cristo, come testimonia la mummia di uno sciita ritrovata in Siberia, gli uomini hanno avvertito questa necessità di comunicare attraverso simboli indelebili incisi sulla loro pelle. Con l'ausilio della simbologia dall'epoca paleocristiana fino al Medioevo, li ho analizzati, a partire dalla loro posizione nelle varie regioni del corpo».
E che cos'ha concluso?
«Un tatuaggio sugli arti indica nervosismo e indecisione; sugli arti inferiori, infantilismo e irriflessione; sulla caviglia della donna, sospettosità, gelosia ma anche affettuosità e femminilità; sulla caviglia dell'uomo, ipercriticità e competitività. Un tatuaggio sul braccio destro, coraggio, giustizia e propensione al comando; sul braccio sinistro, l'esatto contrario. Un tatuaggio fra un dito e l'altro, idee chiare, intraprendenza ma poco senso pratico negli affari, inclusi quelli di cuore».
Io sapevo che si marchiavano a fuoco gli animali. Ma persino per i cani, che prima venivano tatuati, oggi si preferisce il più civile microchip.
«In epoca romana si tatuavano gli schiavi con un numero. Durante il periodo della schiavitù americana, i servi conservavano tatuato il cognome del padrone che li aveva comprati per primo. Poi sono arrivati i nazisti col numero di matricola inciso sulle braccia degli ebrei nei lager».
Appunto. E allora perché rinverdire questa tristissima pratica?
«È il modo più semplice e diretto di comunicare in un'epoca in cui le persone non riescono ad avvicinarsi in altra maniera. Nella rarefazione dei contatti corporei, surrogati dai vari club internettiani tipo Facebook e Twitter, una ragazza gira intorno al corpo di un ragazzo, o viceversa, lo scruta, lo esamina, lo commenta, solo prendendo spunto da un tatuaggio».
Ho capito: i tatuaggi le sono simpatici.
«Io non ne ho e non me ne farei. Alcuni sono deturpazioni. Però altri rappresentano autentiche opere d'arte. Ammetto di non essere contraria».
Quali sono i tatuaggi più diffusi?
«Il soggetto più riprodotto è il drago. Punto d'incontro fra le culture orientale e occidentale, secondo gli psicologi è metafora della forza originaria e generatrice. Sottintende avidità e falsità, ma anche perfezione. Dipende però se è stato fatto prima o dopo altri tatuaggi. Se anteriore, denuncia pessimismo. Se posteriore, possessività e scaltrezza; nel caso di un genitore, distacco dal ruolo».
Sarebbe d'accordo di non erogare le cure gratuite del Servizio sanitario nazionale a chi si procura infezioni con tatuaggi e piercing?
«Non saprei cosa rispondere. Dunque non mi faccia la domanda».
Torniamo ai bambini, va', che è meglio. Li vede più felici o più infelici d'un tempo?
«Li vedo più adulti».


Sarà un bene o un male?
«Noi possiamo dire d'essere stati bambini. Quelli di oggi, imbottiti di Tv e Internet, non so più chi siano. Abbiamo rubato loro l'infanzia».
(615. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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