Bitonci, lo sceriffo che ha regolato gli immigrati

Le ordinanze di Bitonci a Cittadella fanno scuola, ora ci riprova nella città di Sant'Antonio

Bitonci, lo sceriffo che ha regolato gli immigrati

Ai padovani piace lo sceriffo anche se «foresto». Flavio Zanonato aveva sgomberato la casbah di via Anelli con la forza; Massimo Bitonci, a Cittadella, distante dal capoluogo una ventina di chilometri, sperimentò una serie di ordinanze contro gli sbandati a tutela della sicurezza pubblica. Da ministro dell'Interno, Roberto Maroni modellò il Decreto sicurezza anche su quella esperienza che indispettì molti. Compreso l'allora procuratore di Padova, Pietro Calogero, che indagò Bitonci. Il sindaco venne archiviato dopo una decina di giorni e la sua popolarità esplose. A Padova non l'hanno dimenticato.
Aveva fatto scuola, Bitonci. Decine di comuni applicarono ordinanze simili alla sua: gli stranieri che chiedevano la residenza a Cittadella dovevano dimostrare di avere casa, lavoro e un reddito minimo, mentre il sindaco aveva il diritto di controllare la loro fedina penale e segnalare i casi sospetti a prefetto e questore. Si scoprì che perfino a Padova, guidata dal diessino Zanonato, per ottenere la residenza occorrevano certi requisiti di reddito.
Calogero, che ora lavora a Venezia ed è in prima fila nell'inchiesta sulle tangenti per i lavori del Mose, aveva accusato Bitonci di usurpazione di funzione pubblica. Mezza Italia gli aveva dato del razzista. «La procura sostiene che noi svolgiamo indagini giudiziarie, mentre offriamo un sistema di controllo in più per le forze dell'ordine», si era difeso il sindaco. E il pm che arrestò Toni Negri e Oreste Scalzone fu costretto a fare marcia indietro.
Bitonci è stato uno sceriffo diverso dal capostipite dei sindaci con la stella, il trevigiano Giancarlo Gentilini. Il quarantanovenne dottore commercialista di Cittadella non spara con le parole ma con leggi e regolamenti. Era diventato, assieme al collega di Verona Flavio Tosi, il simbolo di una Lega che abbandona volgarità ed eccessi per farsi paladina dei cittadini sul territorio. Un Carroccio di buoni amministratori, vicini alla gente, pragmatici, «adottati» dal ministro Maroni.
Sull'abbrivio della campagna per la sicurezza urbana, Bitonci arrivò nel 2008 a Montecitorio e nel 2013 è passato al Senato, capogruppo del Carroccio. Serio e affidabile, aveva preso il posto di un altro veneto, Federico Bricolo, finito nel tritacarne degli scandali del tesoriere leghista Belsito, della famiglia Bossi e del «cerchio magico». Ora si è preso l'ultima (per ora) soddisfazione: primo sindaco leghista di Padova, che per 16 degli ultimi 21 anni è stata governata dal centrosinistra. Un'enclave nel Veneto forza-leghista.
Così, in pieno effetto Renzi, un anno dopo che il feudo padano di Treviso è passato al Partito democratico, tocca a Padova - la città veneta dove il Carroccio ha avuto meno presa - andare in controtendenza e ritornare in mano al centrodestra. Bitonci ha coalizzato Carroccio, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Ncd-Udc e varie civiche. «Qualche settimana fa non ci davano nemmeno al ballottaggio e invece abbiamo mandato a casa i comunisti», ha esultato il nuovo sindaco che ha annunciato le dimissioni immediate da Palazzo Madama e la formazione della nuova giunta entro la settimana. «Bandiere e simboli di partito resteranno fuori dalla giunta», ha aggiunto.

I nuovi assessori dovranno «spogliarsi dei simboli perché noi dobbiamo governare e ripulire la città». Il governatore Luca Zaia è accorso a festeggiare Bitonci in piazza dei Signori. «Come promesso» gli ha portato un regalo: «Una bandiera di San Marco, quella che ha sventolato a Palazzo Balbi, ed è vera, non cinese...».

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