Stanco delle ripetute prepotenze che il figlio undicenne subiva da un ragazzino di due anni più grande, un padre si è fatto giustizia da sé portando il bullo, a suon di minacce, a chiedere scusa in ginocchio alla vittima e dandogli pure due schiaffi. Ma la Cassazione lo ha avvertito che «punizione e rieducazione» non spettano ai genitori delle vittime e che questi modi sono fuori dalle «regole della civiltà».
All'uomo è stata confermata la multa di 3.420 euro con condanna a risarcire il trauma psichico patito dal «bullo».
Senza successo, Paolo D.I. (52 anni), ha protestato - innanzi alla Suprema Corte - contro il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Bologna, il 26 ottobre 2010, che lo aveva condannato per violenza privata e percosse ai danni del tredicenne A.M. che, in palestra, era solito compiere «ripetute e umilianti vessazioni» ai danni di suo figlio. Il padre «giustiziere», dopo l'ennesima angheria, era andato a prendere il bullo e lo aveva portato nella camera dove, prostrato, si era rifugiato la vittima.
Esigeva, per suo figlio, che l'altro gli chiedesse scusa. Il padre furente non ci era andato leggero, e lo aveva minacciato. A scuse ottenute, lo aveva ammonito con due schiaffi, per il futuro, e lo aveva lasciato andare.
La vicenda era finita davanti al Tribunale di Forlì dove si è svolta la vicenda. Il padre è stato riconosciuto colpevole e gli erano stati inflitti tre mesi di carcere convertiti in 3.
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