Schifani a viso aperto: «Il Pd non può portare il Paese nel baratro»

nostro inviato a Sanremo

«Berlusconi resta il leader del partito. Gli abbiamo chiesto e gli chiederemo di non mollare – assicura il capogruppo pidiellino in Senato Renato Schifani, ospite della nostra kermesse Controcorrente - E anche se non si potrà più candidare, il nostro leader resta lui». Poi, quasi tra sé e sé ragiona: «Dopo vent'anni di persecuzione giudiziaria, i magistrati sono riusciti a condannarlo. Un altro avrebbe detto “Lascio tutto, questo Paese non mi merita, mi ritiro”. Berlusconi no. Non lo fa perché ama l'Italia». Schifani non nasconde che sono ore drammatiche ma ammette che, forse, il «barometro della crisi s'è spostato di un grado verso il sereno. E questo grazie alla nostra posizione ferma». Ma la partita non è certo conclusa, anzi; e la guardia resta alta: «Sappiano tutti che non accetteremo provocazioni. Se dobbiamo assistere al berlusconicidio in diretta, saremo forte e chiari con gli italiani: diremo che chi ha voluto la crisi è il Pd. E lo sapremo fare in tutte le piazze e in tutte le case».
Il governo traballa, inutile nasconderlo. E Schifani, intervistato dal direttore Alessandro Sallusti, non si nasconde dietro un dito: «Mi auguro davvero che non abbia le ore contate ma dipende solo da Pd e grillini. Ieri (lunedì, ndr) hanno voluto fare una prova muscolare pericolosissima. Ne prendiamo atto. Se vanno avanti su questa linea saranno loro a rompere». Impietosa l'analisi del campo avverso: «Una parte del Pd vuole correre alle urne. Ma i sondaggi dicono che la sinistra è sotto. Ma vede, direttore, a noi interessa relativamente il vantaggio del centrodestra. Interessa il Paese. E il Paese, in questo momento, non può permettersi una crisi». Poi, rivela un episodio che la dice lunga sulle reali intenzioni del Pd. Fin dal primo momento: «Quando è nato il governo Letta, la sinistra ha detto che non voleva inserire nell'esecutivo nessun suo uomo di prima fila. I migliori dovevano stare fuori. Ergo, il loro impegno non era totale. È un governo che il Pd, fin da subito, ha digerito male. E la loro base vuole andare a votare».
Ammette il clima di odio nei confronti del centrodestra: «Basta vedere come hanno trattato Luciano Violante che ha solo detto che Berlusconi, come tutti, ha diritto di difendersi. È stato addirittura contestato». Ed è proprio il clima d'odio che fa sì che, in questo momento, la sinistra abbia la fregola di uccidere l'eterno nemico. Anche a costo di calpestare regole e prassi consolidate. Schifani parla della giunta e tira in ballo il presidente Dario Stefàno: «Quando ero presidente del Senato, ho trovato in Follini una persona attenta. Ora Stefano sta abbandonando la tradizione e ha trasformato l'organismo in un tribunale politico. E poi tutti i membri avevano già dichiarato come avrebbero votato. Insomma, un processo già chiuso, prima ancora di leggere le carte».
Quindi Schifani parla della richiesta di interpretazione della legge Severino: «Si tratta di far decadere uno dei leader più importanti della storia italiana». E la platea si scalda e applaude. «C'è una corsa e una frenesia a far fuori Berlusconi. Se lo fanno, saranno loro ad aver la responsabilità di trascinare il Paese nel baratro».
Quindi Schifani delinea lo scenario possibile. Altro governo? «È possibile. Potrebbero esistere maggioranze numeriche ma non politiche. Sarebbero in grado di fare una manovra Sel, Scelta civica, Pd e M5S?».
C'è pure spazio per una battuta sulla mafia e la recente sentenza della corte d'Appello di Palermo e la tesi sul presunto patto tra Berlusconi e Cosa Nostra.

Schifani parla di fatti: «I governi Berlusconi hanno fatto approvare leggi contro la mafia senza precedenti: dal 41 bis, carcere duro diventato definitivo nel 2002, alle nuove norme sul sequestro dei beni, col pacchetto sicurezza. In pratica se il mafioso moriva i beni passavano agli eredi. Noi l'abbiamo impedito con una legge colpendo al cuore gli interessi di Cosa Nostra. E questa è storia».

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