Lo sciopero "rituale" diventa inutile

Chi sciopera, nel nostro Paese, non è quasi mai allo stremo. Allo stremo è chi lo sciopero lo patisce

Lo sciopero "rituale" diventa inutile

Gentile Vittorio,
spesso mi chiedo se i commenti a cui rispondi siano veri o siano solo un escamotage per esternare il tuo pensiero del momento. Innanzitutto condivido pienamente il tuo saggio invito a «recuperare un minimo d'ordine» alimentare e ti confesso che, nonostante mi stia avviando speditamente verso gli ottant'anni, custodisco ancora gelosamente (e lo uso) il quadernetto, nero bordato di rosso, delle ricette di mia mamma, che il tempo ha impietosamente incartapecorito (come ha fatto con me!). Riguardo alla tua riflessione sugli scioperi devo dissentire, amichevolmente ma devo dissentire: fin dal mio esordio nel mondo del lavoro (immaginati quanti anni sono passati!) buona parte delle astensioni dal lavoro per protesta venivano programmate il Venerdì (qualche volta il Lunedì, ma molto meno frequentemente) e trovo francamente buffo che solo ora sia diventato un argomento di così fondamentale importanza da essere trattato compulsivamente un giorno sì e l'altro pure. Inoltre, Vittorio, il Venerdì, soprattutto nelle grandi aziende, spesso l'orario è ridotto e quindi l'impatto è minore; oltre a ciò se il giorno di sciopero fosse ad esempio il Martedì nulla cambierebbe per il «Paese reale» in termini di «pendolari bloccati, treni soppressi, scuole a singhiozzo, famiglie allo stremo nell'incastro quotidiano, imprese che perdono ordini e credibilità», non trovi?
Caro Feltri, scusa il gioco di parole, ma le famiglie non sono «allo stremo» per gli scioperi, ma scioperano perché sono allo stremo! N'est-ce pas? Gli scioperi a «cadenza settimanale»? Magari perché la situazione attuale purtroppo lo richiede e un tempo no. Quando avrai voglia facci un pensierino e se troverai il tempo per darmi una risposta mi farà piacere. Io sono un lettore in carne e ossa!
Con stima.

Francesco Colombini

Caro Francesco,
prima di entrare nel merito, permettimi una precisazione doverosa e preliminare. Le lettere che pubblico, compresa la tua, sono assolutamente autentiche. Giungono ogni giorno, firmate e motivate, ed è irrispettoso nei confronti degli altri lettori insinuare che io mi inventi i quesiti solo perché - guarda caso - qualcuno non li trova affini alla propria opinione.

La diversità di vedute non è una frode: è la normalità di un Paese democratico. Lo dico senza rancore, ma con la franchezza che mi contraddistingue: l'idea che un giornale debba ospitare soltanto ciò che ci piace è già di per sé un sintomo preoccupante. Vengo ora alla tua obiezione sullo sciopero del venerdì. Tu sostieni che la pratica esista da decenni. Verissimo. Chi lo nega? Ma vedi, mio caro Francesco, io giudico i fatti dai risultati che producono, non dalla loro venerabile anzianità. L'età è un valore soltanto negli esseri umani, non nelle cattive abitudini che sopravvivono ai loro stessi effetti deleteri. Uno sciopero, lo ripeto per l'ennesima volta, poiché tu hai sollevato di nuovo l'argomento, è uno strumento sacrosanto, di pressione, previsto dalla Costituzione, e ha una funzione: ottenere qualcosa. Ottenere un risultato, uno spostamento, una riforma, un miglioramento concreto.

Quando però diventa un rito superstizioso, un'abitudine cronica, un automatismo del venerdì, finisce nel grande secchio delle cose inutili. E io le cose inutili non le difendo, le segnalo. Tu sottolinei che «le famiglie non sono allo stremo per gli scioperi, ma scioperano perché sono allo stremo». Peccato che le famiglie allo stremo, in Italia, non scioperano: subiscono. Subiscono i treni soppressi, le scuole chiuse, gli autobus spariti, gli esami rimandati, gli appuntamenti saltati, gli anziani che non possono raggiungere le visite, i lavoratori che perdono ore preziose o stipendi già magri.

Chi sciopera, nel nostro Paese, non è quasi mai allo stremo. Allo stremo è chi lo sciopero lo patisce.

E poiché lo sciopero dovrebbe servire a migliorare la vita collettiva, non a rovinare quella altrui, io continuo a giudicare gli effetti. E gli effetti sono questi: intralcio, disordine, caos, danni economici, e nessun progresso reale. Io non ho mai scioperato in settant'anni di attività. Chiariscimi, ti prego, quale conquista epocale abbiano portato gli scioperi a cadenza settimanale. Il silenzio sarà la tua miglior risposta. Tu attribuisci la scelta del venerdì a mere ragioni storiche. Io invece considero più plausibile una verità molto meno romantica: il venerdì conviene. Conviene per allungare la fine settimana, conviene perché il disagio lo pagano sempre gli altri.

Vedi, Francesco, qui il punto non è il giorno. È il senso. E il senso, quello vero, non c'è più. C'è invece l'uso dello sciopero come clava politica contro un governo che non piace a sindacati e affini. Uno sciopero trasformato in arma ideologica perde la sua dignità originale e diventa una buffonata. Io non difendo mai le buffonate, nemmeno se sono antiche.

Tu sei un lettore «in carne e ossa», come scrivi.

Ed è proprio in carne e ossa che i cittadini, ogni venerdì, devono arrangiarsi tra scuole a singhiozzo, mezzi dimezzati, orari sconvolti. Credimi: la carne e le ossa che vedo soffrire non sono quelle di chi sciopera. Sono quelle di chi lavora malgrado gli scioperi.

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