A scuola dagli «sbirri» per scoprire quando i figli si drogano

A scuola dagli «sbirri» per scoprire  quando i figli si drogano

Sbirri in cattedra. A insegnare a mamme e papà di ragazzi alle soglie dell’adolescenza che cos’è la droga. Come la si riconosce dietro gli occhi dei propri figli. A raccontare la loro esperienza diretta sul campo, a tu per tu con ragazzini sempre più giovani. A scuotere i genitori come fossero psicologi diplomati. Invece sono agenti di polizia, squadra Mobile di Milano, antidroga. Poliziotti veri, di quelli che si infiltrano, che setacciano i marciapiedi della città e che da qualche anno girano anche per le scuole e le parrocchie facendo vedere ai ragazzi spezzoni del fim «Sbirri» con Roul Bova. L’altra sera per la prima volta hanno fatto lezione ai genitori. Circa duecento persone riunite nella sala della parrocchia di San Pietro in Sala in piazza Wagner dall’energico don Domenico. I genitori vogliono sapere. Cosa devo fare? A che cosa devo stare attento? Quali sono i sintomi? «Dovete parlare con i vostri figli, parlare e ancora parlare - spronano dal palco i poliziotti - e spiegare che la droga è anche lo spinello. Che essere beccati col fumo, la “bamba”, la “maria” o come diavolo la volete chiamare, significa essere segnalati in Prefettura. Significa diventare “assuntore di stupefacenti”. Un marchio che resterà per sempre sul casellario giudiziario». La platea dei genitori sobbalza. I sussurri rimbalzano come un tam tam. Gli sbirri raccontano che non esiste più la “dose minima”, che a 14 anni gira già la cocaina, che esistono le droghe liquide, le droghe dello stupro. Incolori e insapori vengono messe nel bicchiere «e chi s’è visto s’è visto». Che nelle discoteche smerciano le pasticche e che costano cinque euro. Improvvisamente stimati professionisti in platea, arrivati di corsa dall’ufficio con la cravatta allentata si scoprono ignoranti. «Manca l’informazione», tuona una mamma. Sono bravi i poliziotti. Incitano a cogliere i segnali. A non sottovalutare nulla. Rispondono alle domande. Raccontano storie. Mettono paura. «Un ragazzino non deve avere perplessità. Non dovete avere tolleranza. Non esiste droga di serie A serie B. La droga è droga. Se gli creiamo casino in testa a 15 anni significa lasciare già una porta aperta». E giù ancora con i «drogati che non sono più quelli che ciondolano come eravamo abituati a vedere noi ai nostri tempi». Che i ragazzi possono cominciare anche se non hanno famiglie inguaiate ma solo perché il gruppetto di amici si sta divertendo e dai perché non ne prendi una anche tu... che vuoi che sia... per una pasticca non è mai morto nessuno.
Don Domenico conclude con una storia. Vera. Un ragazzo, 15 anni, inghiotte una pasticca. L’unica della sua vita. È stressato, la ragazza lo ha lasciato. Va male a scuola. È un periodaccio. Il suo fisico reagisce a quella pasticca. Entra in coma. Quando si risveglia una parte del suo cervello è andata in tilt.

E lo costringerà a vivere con due paure dalle quali nessuna terapia lo può liberare: vede tram e treni come fossero draghi e crede di poter mettere incinta una ragazza solo col pensiero. La sua vita è segnata per sempre. Per una sola pasticca di ecstasy. «Raccontatelo ai vostri ragazzi», dice il don. Raccontatelo, gli fanno eco i poliziotti.

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