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Se l'erede Agnelli fa la ramanzina ai bamboccioni

Se l'erede Agnelli fa la ramanzina ai bamboccioni

Le prediche si possono anche ascoltare, seguire e apprezzare se arrivano da un pulpito la cui autorevolezza è dimostrata dalla coerenza della condotta di vita. Insomma, è sempre l'esempio il messaggio decisivo, quello che si può ragionevolmente supporre che gli altri seguano quando si vuole insegnare e indicare le strade da intraprendere. John Elkann, beato lui, è giovane di buona famiglia, il che gli ha risparmiato quelle difficoltà che generalmente altri giovani, magari anche loro di buona famiglia, devono affrontare per farsi largo nella vita. Ascoltare da chi non si è fatto il sedere quadrato per raggiungere quei risultati che adesso lo hanno portato sul pulpito una predica rivolta ai suoi coetanei sulla necessità di rimboccarsi le maniche, per affrontare l'esistenza con quella decisione che porta all'autonomia, all'autorealizzazione, lo trovo irritante.

È accaduto che il presidente della Fiat Chrysler, invitato dalla Banca Popolare di Sondrio, istituzione che ha il grande merito di proporre alla cittadinanza incontri con importanti personaggi per approfondire questioni sociali ed economiche, ha incontrato gli studenti del capoluogo valtellinese e abbia sferzato il suo uditorio, usando un adagio ormai stantio: basta bamboccioni, viva i giovani che si impegnano veramente nella scuola e nel lavoro per realizzare se stessi e correre liberi per le strade del mondo senza la protezione della famiglia o di chi ne fa le veci. Il bamboccio è una categoria socio-antropologica di cui si è finora ufficialmente servita la politica: in ordine, Padoa Schioppa, Brunetta, Fornero (che ha introdotto un'elegante variante anglosassone).
Adesso ci si mettono anche i cavalieri d'industria, John Elkann, ovviamente, è apparso a tutti i ragazzi sondriesi che, se privi di santi in Paradiso hanno di fronte a sé la disoccupazione, come un fulgido esempio di chi si è fatto dal nulla e che sacrificio dopo sacrificio è diventato quello che è.

Appunto, beato lui.

Forse perché ho passato una vita in mezzo ai giovani come insegnante, trovo semplicemente irritante la definizione di bamboccione: non riesco a mandare giù la parola, mi rende immediatamente antipatico chi la usa. I lavativi tra i giovani ci sono (ci sono anche tra politici e industriali) ed è vero che questi preferiscano le comodità della propria casa con la mamma sempre pronta a servirli, piuttosto che provare a emanciparsi dalla famiglia.

È anche vero che oggi, più di ieri, le esigenze sono di gran lunga superiori a quelle di venti, trent'anni fa, per cui si è più esigenti, si desidera raggiungere obiettivi che una volta erano impensabili. Ma questo accade a tutti, giovani e meno giovani, politici, industriali, gente comune. La questione è un'altra, ed è proprio politica: cosa hanno fatto i nostri governi per rendere competitiva la scuola, per premiare economicamente gli insegnanti e quindi selezionarli con più attenzione e rigore, per professionalizzare gli studenti e non illuderli che solo la laurea è la meta importante da raggiungere? La retorica riempie le frasi, soprattutto dei politici, sui «giovani nostro futuro», senza riflettere sul fatto che i giovani sono il nostro presente che riserva loro la disoccupazione. E se i livelli di disoccupazione giovanile hanno raggiunto vertici assoluti in Europa, la responsabilità è dei bamboccioni? Chi ha bloccato il mercato del lavoro per cui assumere oggi un giovane ha un costo insostenibile? Naturalmente i bamboccioni.

D'accordo, torno a dire, ci sono lavativi che preferiscono non rimboccarsi le maniche, ma per mia esperienza sono davvero una irrilevante minoranza.

La maggioranza è fatta di ragazzi commoventi per la loro dedizione allo studio nella speranza di trovare lavoro e ripagare i genitori di tanti sacrifici: ragazzi che non meritano questa politica e predicatori che dovrebbero vergognarsi di dire tante sciocchezze.

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