C'è l'Italia dei nuovi martiri appesi alle travi degli scantinati, morale a pezzi e forze esaurite nel grande mattattoio della crisi. Ma proprio lì fuori dai macabri box, nella stessa nazione boccheggiante e attonita, c'è un'altra Italia ineffabile e indefessa, l'Italia che non capisce, o che finge di non capire, l'Italia arida e abbruttita dalla totale mancanza di coscienza civica, o di semplice coscienza. Non è un'Italia definita dentro un distretto, una città, una regione: è un'Italia ovunque, ne siamo circondati.
La si può trovare a Milano, nella capitale morale ed economica, nella metropoli dei movimenti indignati e della società civile. In questa Milano i dipendenti comunali scatenano la contestazione stile porto di Danzica per una causa alta e sacra, la madre di tutte le cause: l'aumento della tazzina di caffè da 25 a 30 centesimi.
Come documenta con foto il sito di Repubblica, i lavoratori dell'ufficio personale in via Bergognone improvvisano assemblee, colazioni di protesta, campagne di sensibilizzazione, nonchè volantini in cui si denuncia quanto «sia profondamente ingiusto, in periodo di crisi, blocco degli stipendi e aumenti del costo della vita, che il Comune aumenti il prezzo di bevande e snack dal 20 al 40 per cento».
La denuncia è spietata, con tanto di tariffario: biscotti da 30 a 70, frolla da 30 a 50, merendina al cioccolato da 0,70 a 1,10. Inaccettabile. La mobilitazione è totale. E l'incendio potrebbe essere soltanto all'inizio. Gli aumenti difatti sono legati al cambio dell'appalto di gestione, deciso a Palazzo Marino, e riguardano tutti i 313 distributori presenti nei vari uffici comunali, dunque anche nelle biblioteche, nelle scuole, nel comando dei vigili. È possibile che la protesta si estenda a macchia d'olio, con alto sprezzo del pericolo e purtroppo anche del ridicolo.
A Reggio Calabra pure peggio, molto peggio. Qui l'Italia che non capisce, o che finge di non capire quanto duro sia il momento, quanto drammatico sia il destino di troppi lavoratori improvvisamente riciclati in nuovi cassintegrati, nuovi disoccupati, nuovi poveri, nuovi disperati, qui l'Italia barbara e cinica addirittura irride il posto di lavoro e ferisce a morte il senso di collettività.
L'inchiesta della Guardia di finanza ha un titolo molto familiare, che evoca da sempre le più fulgide tradizioni nazionali: «Torno subito». Non uno, non due, non qualche caso inguaribile: un intero sistema, novantacinque dipendenti del Comune. Utilizzando - come sempre - ingegno e organizzazione degni di migliore causa, questi rappresentanti dell'istituzione hanno messo in piedi un formidabile meccanismo per lavorare senza fatica, senza impegno, senza vergogna. Favori reciproci, scambi di badge personali: quanta solidarietà, quando c'è da far male. Alla faccia della crisi, della disoccupazione, dei disperati appesi alle travi nei sottoscala, alla faccia di tutti e di tutto, questi italiani continuavano imperterriti a truffare il bilancio pubblico. Molti di loro si presentavano in ufficio due o tre ore dopo l'orario previsto, grazie al complice che aveva timbrato regolarmente i cartellini. Altri non si presentavano proprio. Con il sistema di turnazione equo e solidale, la prestazione veniva ricambiata il giorno dopo, così che mai nessuno potesse lamentarsi d'essere sfruttato.
Certo tra le proteste per il caro tazzina di Milano e gli assenteisti truffatori di Reggio ci sta una fondamentale differenza. Sarebbe ingiusto negarla. Un diritto, per quanto fuori tempo e fuori luogo, il primo. Uno squallido reato penale il secondo (17 ai domiciliari, 78 indagati). Eppure c'è un filo sottile che non può sfuggire, che li tiene inesorabilmente legati davanti all'incredulità e alla rabbia dell'Italia affannata: in quegli uffici pubblici, del Nord e del Sud, non hanno evidentemente capito che la ricreazione è finita e che tutti dobbiamo metterci qualcosa, rimettendoci qualcosa.
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