Milano - Si commuove, Giorgio Napolitano. Commemora all'Università Bocconi l'amico economista Luigi Spaventa e la voce gli si ferma un paio di volte al pensiero del «dissolversi del tuo mondo». Non è soltanto il senso di «vuoto delle presenze care venute meno», ma quello di un sistema che non c'è più. Nel rievocare il vecchio Pci, la «mitica organizzazione comunista» che nel 1989 - pochi mesi prima che cadesse il Muro - riusciva ancora a pilotare centomila preferenze sullo sconosciuto (e mai più sentito) economista francese Maurice Duverger, Napolitano se la prende con la politica di oggi, tutta.
Il bersaglio preferito è Silvio Berlusconi. È a lui che il presidente pensa quando denuncia lo «smarrimento di ogni nozione di confronto civile, e di ogni costume di rispetto istituzionale e personale». L'accenno alle istituzioni riguarda le annunciate dimissioni dei parlamentari pidiellini; quello personale, invece, gli attacchi di esponenti del centrodestra.
Ancora al Cavaliere si riferisce Napolitano, stavolta esplicitamente, quando ricorda che Spaventa nel 1994 volle candidarsi alla Camera nello stesso collegio di Roma in cui correva il leader della neonata Forza Italia. Spaventa, ministro uscente (al Bilancio) del governo Ciampi, era mosso «dal gusto della sfida, della missione quasi impossibile, del confronto antidemagogico sui problemi»: come dire che l'altra parte è il regno della demagogia.
Ma al di là dei ricordi, il presidente sta bene attento a non lasciarsi sfuggire riferimenti diretti alla situazione politica. Sa che la mattinata milanese in memoria di Spaventa è soltanto l'inizio di una giornata lunga e difficile, e che il momento cruciale sarà l'incontro del pomeriggio al Quirinale con il premier Enrico Letta.
Così all'arrivo in Bocconi, poco prima delle 11, Napolitano si fa fotografare a debita distanza dai giornalisti transennati ed esclama: «Non ho nulla da dirvi». All'uscita ammette che il suo ottimismo va inteso come «non pessimismo» e sicuramente non come «ingenuità». A chi gli chiede se il governo sia sotto il ricatto del Pdl ribatte: «Crede che possa rispondere a una domanda del genere adesso?». È preoccupato? «Avete l'impressione che possa saltellare?». E i partiti si stanno comportando in maniera responsabile? «Non sono in grado di rispondere a Roma né tantomeno qui. Lasciatemi un po' di tempo, vedremo».
Non pessimista ma neppure ingenuo: Napolitano sa che la vita del governo è appesa a un filo sottile. E le elezioni anticipate, dice nel discorso, sono «prassi molto italiana, come sapete». Al termine del convegno su Spaventa il presidente si trattiene brevemente al buffet con gli invitati e ben presto si chiude in un ufficio con il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, intervenuto prima di lui nell'aula magna della Bocconi, mentre Mario Monti, presidente dell'università, rimane a fare gli onori di casa. Poco prima Draghi aveva detto, citando Spaventa, che «l'Italia è il Paese che più di ogni altro ha beneficiato dell'ingresso nell'euro».
Napolitano fa l'elogio della politica come «dedizione quotidiana» e «scelta di vita»; rivendica gli anni in cui nacquero gli «indipendenti di sinistra» (come Spaventa) che portarono voti e dibattito culturale nel Pci.
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