Tanto per cambiare, se ci sentiamo gli unici bersagli della discriminazione, siamo fuori strada. I cori razzisti, che cercano di boicottare il meglio di Balotelli, non sono gli unici violenti «distinguo» di cui siamo capaci. I quattrozampe sono l'altro importante ombelico a cui - bipedi ed eruditi - abbiamo sempre fatto le pulci: questo non lo mangerei mai, questo è sacro, questo è repellente, questi farebbero bene ad abbatterli uno ad uno. «Specismo», si chiama così, il «razzismo animale». L'istinto innegabile che ci porta a non considerarli tutti uguali, i coinquilini pelosi o subacquei della Terra: a non tendere le braccia a tutti con la stessa tenerezza, a non nutrire per le loro sorti lo stesso interesse. Interesse che diviene attivismo nell'anti-specismo. Questo sì rivendicato (sarà che in sé e per sé è sano, romantico) dalle ideologie di destra e sinistra.
S'impelaga in un esame complesso il libro Il maiale non fa la rivoluzione - Manifesto per uno specismo debole (di Leonardo Caffo per Sonda Edizioni, 2013). Qualunque piacere ci regali un boccone di carne - leggiamo - non sarà mai valso il dolore da cui l'animale è riemerso solo morendo. Ma bollarla come una lotta pro o contro le proteine animali, pensare subito che la cacciagione può arrivare in tavola anche con metodi indolori, non liquida il punto. Il punto sembra piuttosto quello che sentiamo dentro. I diritti che valgono per gli animali «da affezione» e non per gli altri: la tendenza naturale a salvare ciò che più ci somiglia, ciò che più ci obbedisce e ci parla con gesti e suoni comprensibili. Bigazzi vaga tra le guglie del digitale terrestre per aver improvvisato una piccola ode (forse scherzosa) al gatto in padella. Inneggiare alla caccia ai nostri amici è un colpo al cuore e praticarla un reato. È giusto così. Ma chi stabilisce i confini?
Questa primavera, la mattanza delle volpi a Siena si è vista rivolgere un coro di «No» dalle voci di Margherita Hack, Luigi Lombardi Vallauri, Susanna Tamaro e, tra gli altri, lo chef Simone Salvini, la conduttrice Paola Maugeri e l'eurodeputato Andrea Zanoni. Una lettera di protesta (a tinte anti-speciste vip): «Le pratiche venatorie sono viste come barbare e inaccettabili dalla sensibilità civile», recita. Poco prima dello stop al commercio dell'avorio in Thailandia, un gruppo di studiosi aveva attestato come gli elefanti percepissero il loro destino alla soppressione, il valore misteriosamente alto delle loro zanne, il futuro di morte che li avrebbe ammassati tutti di lì a poco. In questi giorni al cinema, Tony Servillo, in chiave spassionatamente dandy ne La grande bellezza, esclama: «I labrador sono stupidi. E pure i cocker». Così specista da far inalberare i padroni, e senza scomodare filosofie alimentari né dibattiti sull'estinzione indolore. Ma l'ago della bilancia, tra il serio e il faceto, pare ancora una volta questo: sono tanto più preziosi e da proteggere quanto meno faticheremo a dialogarci. Ad assoggettarli, a farci amare da loro.
«Per i ratti nessuna pietà perché portano malattie» recita il senso comune. Mentre la loro popolazione si fa sempre più forte e incalcolabile, tanto che, a New York, la ricerca non vede altra soluzione che dare in pasto alle future mamme della specie alimenti che ne accelerino la menopausa. Niente più figli, prima o poi niente più ratti. Limitrofo all'antispecismo è «l'integralismo» dei vegani. Coloro che non assaggiano neppure un vago derivato dagli animali. Bill e Chelsea Clinton, Tom Yorke, il leader dei Radiohead.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.