Caso Sallusti

Severino: Sallusti non deve andare in cella

Il Guardasigilli sul caso dell'ex direttore del Giornale: "La reclusione è una pena inadeguata al reato"

Severino: Sallusti non deve andare in cella

Roma «Il carcere in casi di diffamazione non può servire né come riparazione, né come risarcimento, né come rieducazione. È assolutamente inadeguato a questo tipo di reato. Ma oggi c'è una forte volontà di cambiare la legge in tempi rapidi». La Guardasigilli Paola Severino riafferma il suo impegno perché l'iter del ddl in Parlamento sia veloce. Ma se le Camere non arrivassero in tempo per evitare la detenzione ad Alessandro Sallusti (il 26 scade la sospensione della pena e lui non chiederà l'affidamento ai servizi sociali) potrebbe muoversi il governo? «È un'ipotesi secondaria - spiega a il Giornale il ministro della Giustizia -, perché su un tema così importante e largamente sentito non è bene mettere solo una toppa, serve una riforma complessiva». Il decreto legge però non è escluso? «Al momento non è una strada da prendere in considerazione - risponde la Severino - perché ci sono delle alternative. È grande l'impegno ad accelerare il ddl assegnato, in sede deliberante, alla commissione Giustizia del Senato. Le proposte di modifica vengono da tutti i partiti e anche dalla Federazione della stampa. Dobbiamo lavorare tutti insieme per coniugare due valori costituzionali come la libertà di manifestare il proprio pensiero e il diritto alla tutela della propria reputazione».
Di questo si parla a lungo al convegno organizzato a Roma dalla Fnsi, dopo la condanna a 14 mesi al direttore de il Giornale. Tra giornalisti, politici e giuristi una delle più preparate è proprio l'ex avvocato Severino, che per anni ha lavorato sulla materia e dà lezione come agli studenti della «sua» Luiss. Il ministro insiste sulla necessità di rendere più efficace il sistema della rettifica perché l'obbligo, che pure esiste già, spesso non viene rispettato. «Al diffamato - dice - non interessano i soldi e tantomeno la galera per il giornalista, ma il ripristino della reputazione». Sì, dunque, a sanzioni diverse da quella detentiva per un'effettiva riparazione, oltre ad un risarcimento adeguato. «Mezzi molto efficaci - sottolinea la Severino - sono anche quelli disciplinari, come sospensione e interdizione». Il presidente della Fnsi, Roberto Natale, è d'accordo: «Non facciamo una battaglia di impunità, siamo lontani dal corporativismo». Per il presidente della Fieg, Giulio Anselmi, «accanto al diritto a informare, c'è il diritto a essere informati correttamente, ma certo c'è sproporzione tra il carcere e l'informazione sbagliata».

Arriva il consenso anche del Consiglio d'Europa. «L'intenzione del governo italiano di riformare la legge sulla diffamazione è un passo appropriato», dice il segretario generale Thornbjorn Jagland. Nel pomeriggio la Severino entra in commissione Giustizia del Senato, dove vengono illustrati i due testi presentati da Li Gotti (Idv) e da Chiti (Pd)-Gasparri (Pdl), per sollecitare una nuova legge equilibrata: «Il meccanismo della rettifica dev'essere centrale, per coniugare legalità e informazione». Su un intervento del governo nei testi, non si sbilancia, ma non nega questa possibilità.
I lavori a Palazzo Madama andranno avanti al galoppo: oggi pomeriggio la discussione generale, domani o venerdì il termine per gli emendamenti, come annuncia il presidente Filippo Berselli. Se la volontà è comune, rimangono sfumature diverse e bisognerà mediare. «Il nostro è un testo aperto. L'importante è che il Parlamento operi rapidamente, altrimenti il governo intervenga con un decreto», dice il vicepresidente del Senato Chiti. È la carta di riserva e tutti la evocano. Gasparri conta sull'accordo trasversale, ma avverte: «Il governo ha un segnale chiaro dal parlamento, se decidesse di varare un decreto».

Per il Pdl Gaetano Pecorella, che con Costa firma un altro ddl alla Camera, questo è «l'unico modo per intervenire sul tema della diffamazione».

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