Ha ragione Ernesto Galli della Loggia. Nell’articolo di ieri sul Corriere della Sera osserva che quasi tutti i nemici dell’antipolitica, a forza di odiarla e combatterla, senza accorgersi hanno finito per sposarla e adottarla in campagna elettorale. La medesima cosa è accaduta per la rottamazione proposta da Matteo Renzi: dapprima giudicata una follia dai partiti, poi smodatamente praticata. Per non parlare del populismo; termine usato a sproposito da chiunque per squalificare l’avversario,il quale di norma risponde con la stessa moneta: populista sarai tu. Col risultato che non ci si capisce più niente.
Chi ascolta i dibattiti politici perde la trebisonda. Pensava che l’antipolitico per eccellenza fosse Beppe Grillo. Era lui che predicava la democrazia dal basso per sconfiggere i professionisti della cadrega. Adesso si scopre che sia il Pd sia il Pdl compongono le liste dei candidati scegliendoli fra giovani e donne; basta vecchie cariatidi, servono volti nuovi. E giù con gli elogi alla società civile da cui trarre la linfa per procedere al cambiamento.
Quale cambiamento? Per ora non si sa. L’importante è voltare pagina, sarà quel che sarà. Perfino Mario Monti, così sobrio e professorale, si dà da fare per reclutare, suppongo a casaccio, qualche nome a effetto, ma non si rende conto che, presentandosi agli elettori fra due angeli custodi quali Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, disorienta chi è ansioso di novità. Aspettarsi freschezza di idee da due rispettabili signori da 30 anni in Parlamento, dal quale usciranno solo per trasferirsi all’ospizio, è quantomeno da ingenui.
Sono saltati i parametri tradizionali su cui si è basata per decenni la mappa politica. La lista di Antonio Ingroia reca nel simbolo il vocabolo «rivoluzione». Tra i candidati, oltre al leader, figurano vari magistrati o ex tali: difficile immaginare che vogliano sul serio sovvertire l’ordine costituito. Ma tant’è. Tra europeisti inossidabili, populisti, rottamatori di fatto e innamorati della società civile è impossibile per l’elettore orientarsi.
I commentatori forniscono quotidianamente un contributo di confusione scrivendo che «destra» e «sinistra» sono categorie superate che resistono solo nella mentalità antiquata dei nostalgici della guerra fredda e, quindi, della Prima Repubblica a cui, però, non è seguita la Seconda né seguirà la Terza perché la Costituzione è un totem: non è stata mai modificata. L’impianto istituzionale è lo stesso di 65 anni orsono. In realtà, «destra » e «sinistra» non sono uguali, visto che la gente si schiera ancora: o di qua o di là. E in cabina, al momento di tracciare la croce, è attratta dal colore: o rosso o bianco.
Che poi entrambe le fazioni abbiano un programma né progressista né conservatore importa poco.
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