Con Matteo Renzi e i renziani del famoso «cerchio magico» tutti o quasi impegnati al governo, nel Pd si ridisegnano gli equilibri interni, e la maggioranza si scompone e ricompone. E in ogni caso si allarga: ormai, nel partito del premier, le conversioni al renzismo non si contano più. Anche tra i parlamentari, pur eletti nell'era Bersani.
Così, ieri, è stato ufficialmente lanciato il «manifesto» a sostegno del Def e del governo promosso da renziani della prima ora, come Matteo Richetti e Angelo Rughetti, ma rapidamente sottoscritto in massa da 120 parlamentari di tutte le osservanze. Numeri che creano qualche allarme nei gruppi parlamentari, in particolare alla Camera, dove a capo dei 293 deputati del Partito democratico c'è il post-bersaniano Roberto Speranza. Ed è un'anomalia, rileva più d'uno tra i supporter del premier, che il capogruppo del principale partito di maggioranza sia invece un esponente della minoranza interna, sia pur della sua componente più «dialogante». Insomma, c'è chi immagina che la creazione di un correntone neo-renziano serva non solo ad arginare il potere interno delle altre correnti, strutturando la componente dei sostenitori del premier. Ma anche a mettere un'ipoteca su quella che è la poltrona più influente fuori dal governo, assediando l'ultima ridotta dalemian-bersaniana.
I diretti interessati, a cominciare da Matteo Richetti (che secondo molti sarebbe il candidato naturale se mai si arrivasse a una sostituzione del capogruppo) smentiscono seccamente che ci siano intenti di questo genere. Il senso «politico» dell'iniziativa, spiega l'ex presidente del Consiglio regionale dell'Emilia Romagna, è che «troppo spesso finisce che chi dissente dal governo sono quelli che ragionano ed elaborano un pensiero. Mentre chi acconsente, vota e basta. Lo dico - aggiunge Richetti - con grande rispetto per chi assume posizione critiche motivate e ragionate ma è onere anche di chi sostiene i provvedimenti del governo spiegare il progetto di cambiamento che sta dietro quei provvedimento». Il riferimento è ai «dissidenti» di professione, come Stefano Fassina o Vannino Chiti, che «attaccando il governo un giorno sul Def e un giorno sulle riforme, riescono a stare quotidianamente sui giornali», come chiosa un renziano. Richetti puntualizza che, dietro l'iniziativa non c'è la nascita di una corrente: «Non siamo qui per rompere posizionamenti o aggiornarli, ma per provare a rimettere sui binari l'attività parlamentare».
Un problema di riequilibrio nelle cabine di regia dei gruppi parlamentari comunque esiste, visto che i renziani all'inizio della legislatura furono praticamente tagliati fuori dagli uffici di presidenza, mentre tutte le altre correnti si spartivano i vice-capogruppi. E visto che due di loro, il franceschiniano Giacomelli e la giovane turca Silvia Velo sono andati al governo l'occasione potrebbe presentarsi presto: «Tempo due settimane», assicura un renziano. Mentre a mettere in discussione Speranza, per il momento, il premier non ci pensa proprio: il presidente dei deputati è utile, dal punto di vista del governo, proprio per tenere a bada e riassorbire i mal di pancia della minoranza interna. Mentre una sua sostituzione aprirebbe una guerra interna di cui non si sente il bisogno. Tanto più che, come osserva il bindiano calabrese Luigi Meduri, osservatore esperto della manovre interne al Pd, «l'opposizione a Renzi si è ormai ridotta al 10% di quel 18% che riuscirono a prendere alle primarie. Gli altri stanno già tutti con il premier, senza se e senza ma.
E basta leggersi le dichiarazioni dei redditi dei parlamentari per capire che a queste Camere Renzi può far fare quel che vuole: la quantità di loro che prima di essere eletto dichiarava redditi inesistenti o bassissimi è enorme, dal Pd ai Cinque Stelle. E nessuno di loro vuol tornare indietro».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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