Roma - Berlusconi si tuffa nel Pdl acclamato dai suoi. Dopo settimane di silenzio parla al partito in occasione dell’ufficio di presidenza e smorza asti e ruggini: «Ora è il momento dell’unità, dobbiamo stare fortissimamente insieme - dice - Anche perché il momento è duro: tutti i partiti sono in calo e la classe politica ha una popolarità tra il 4 e il 5% mentre il 53-57% degli italiani ora non saprebbe chi andare a votare. E noi siamo sotto di 6 punti». Lo stato maggiore del Pdl ascolta in silenzio e chi era presente lo descrive «lucidissimo». Parte da un’analisi economica: «Sono stato a cena con gli imprenditori e nessuno di loro ha dati positivi, tante aziende pensano di delocalizzarsi, i beni di lusso sono cancellati.
Le famiglie dovranno fare i conti con Imu, Irpef e costo benzina e l’aumento dell’Iva al 23% darà una stangata ai consumi». Ma la colpa non è di Monti, o meglio, non solo. Una stoccata alla cancelliera di ferro: «La cura che l’Ue individua per il nostro Paese la conosciamo e ha già determinato il disastro per la Grecia e ora inizia a determinarlo in Spagna - dice -...una politica di rigidità orientata dalla Merkel». Poi si toglie un sassolino dalla scarpa, parlando di certa stampa: «L’Italia è considerata un paese malato, anche per responsabilità della stampa che mai ci ha seguito nelle cose concrete fatte, assecondando l’opposizione e il rialzo dello spread».
Anche il segretario del Pdl Angelino Alfano parla di economia e giustifica l’appoggio al governo Monti «che deve affrontare problemi enormi». Ma il delfino del premier dispensa ottimismo: «Siamo forti e preparati e a differenza degli altri partiti, stiamo sui temi concreti: banche, lavoro, questioni economiche». Poi tocca allo stato maggiore del partito intervenire ed emergono sensibilità differenti. Prende la parola l’ex ministro Altero Matteoli, che fa l’intervento più critico nei confronti dell’esecutivo: «A me il governo Monti non piace. E non mi piace il progetto di legge elettorale... È un pasticcio». «Sì Altero, capisco, ma dobbiamo sostenere Monti perché non ci sono alternative - risponde il Cavaliere - Andiamo avanti con le riforme».
La posizione più scomoda sembra averla l’ex ministro Giancarlo Galan che, proprio al Giornale, aveva lanciato l’idea di tornare a Fi e An, uniti in una federazione. Molti lo guardano di sbieco e Ignazio La Russa lo attacca: «Andiamoci piano con le dichiarazioni alla stampa, Giancarlo». E lui fa una rettifica che ha il sapore del dietrofront: «Io intendevo dire che dobbiamo tornare allo “spirito” del ’94. Non al ’94». Giorgia Meloni: «Ecco, appunto. Trasferiamo quello spirito a questo tempo, al momento attuale, nel Pdl unitariamente inteso». Poi prende la parola un altro ex An, Mario Landolfi: «Finiamola con questa storia degli ex An ed ex Fi...». Berlusconi lo interrompe: «Bravo Mario! E devo dare atto che gli ex An non si sono mai messi di traverso alle decisioni del mio governo, a eccezione di Fini».
Landolfi riprende e graffia: «E poi, scusa Giancarlo - dice rivolto a Galan - dici di voler recuperare l’ispirazione liberale. Ma ti ricordo che l’ex ministro dell’Economia che s’è opposto alle misure per la crescita non era certo un ex An...». Chiara stoccata a Tremonti. Nel mezzo, Domenico Nania si accalora: «Silvio, ti prego, coinvolgiti di più. Abbiamo bisogno di te...». Tesi sostenuta anche da Daniela Santanchè: «Abbiamo bisogno di più Berlusconi».
Poi si passa alla legge elettorale, punto dolente del pacchetto di riforme istituzionali da concordare insieme all’Abc. La Meloni si scalda: «Non dobbiamo ammainare la bandiera del bipolarismo, nostra conquista storica». Si teme il ritorno alla Prima Repubblica e, soprattutto, la trappola di Casini. Gasparri media: «Un conto è quello che vogliamo, un conto quello che possiamo ottenere». La Russa fa un intervento tecnico il cui senso è: dobbiamo passare da un bipolarismo di coalizione per cui si vince ma non si governa a un bipolarismo fondato sui grandi partiti. Soltanto a Scajola sembra piacere un ritorno al passato in cui prima si vince e poi si lavora per formare un governo.
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